Speciale Brasile 2014: analisi del girone E

CalcioWeb

Jerry+Bengtson+QufXaEaKAH_mHonduras – Il giorno della leggenda, per la nazionale di calcio dell’Honduras, resta l’1-1 contro la Spagna ai mondiali del 1982, prima di tre partecipazioni senza mai la gioia di una vittoria. Al terzo tentativo, finiti in un girone che sembra appannaggio di Francia e Svizzera, gli honduregni non sembrano destinati ad andare molto al di là del gettone di presenza. La qualificazione è stata comunque voluta e, in qualche modo, una sorpresa, visto che nel 2010 – quando il ct Reinaldo Rueda che aveva portato gli honduregni in Sudafrica lasciò la panchina – in pochi credevano che il nuovo Luis Ferdinando Suarez sarebbe riuscito ad arrivare in Brasile. Invece, il coraggioso tecnico ha mandato molti della vecchia guardia in pensione ed ha avviato un ciclo nuovo. I risultati si sono visti subito alle Olimpiadi di Londra, dove Honduras è arrivata ai quarti battendo fra l’altro i quotatissimi spagnoli. Poi l’ottimo percorso di qualificazione, lasciando pochissimi punti in casa e andandosi a prendere quelli mancanti in una partita eccezionale, 1-2 all’Azteca contro il Messico, paese vicino che in confronto a Honduras è un gigante di proporzioni incomparabili. I gol che hanno firmato la qualificazione in quella partita sono stati segnati da Bengtson e – fatto altamente simbolico – da Carlos Costly, una specie di gigante, figlio di Allan, che comandava la difesa ai mondiali spagnoli nel 1982. I “Catrachos”, questo il nome dato ai nativi dell’Honduras, sperano nella loro gioia di esserci e di giocare. In formazione non ci sono fenomeni, il più in vista si chiama Emiliano Izaguirre e fa il difensore in Scozia al Celtic Glasgow, il portiere e capitano è Noel Valladares, uomo affidabile. A centrocampo domina la personalità di Wilson Palacios (Stoke City), una carriera in Inghilterra, qualche anno fa nel mirino del Napoli. Costly e Bengston sono la coppia d’attacco, affidabili e combattivi.

inlerSvizzera – Punta forte sul blocco-Napoli (Behrami-Dzemaili-Inler) Ottmar Hitzfeld, ct tedesco della Svizzera che approda in Brasile con un bel girone morbido e con l’obiettivo di arrivare ai quarti, come non le succede da 60 anni. Diciotto mesi e 14 partite di imbattibilità, questo l’invidiabile ruolino di marcia degli elvetici, interrotto soltanto da una sconfitta in amichevole in Corea. Il rigido 4-4-2 di Hitzfeld ai tempi dei trionfi con Borussia e Bayern si è tramutato in un più pragmatico 4-2-3-1 in cui giovani come l’attaccante di origini croate Josip Drmic e lo straordinario kosovaro-albanese del Bayern, Shakiri, ruotano attorno al collaudatissimo centrocampo stile partenopeo, rafforzato sulla fascia dalla spinta del pluricampione d’Italia Stephan Lichtsteiner. Con Ziegler del Sassuolo a completare la nutrita colonia italiana. Hitzfeld, diventato in breve un mito per i suoi, ha già annunciato che alla fine del Mondiale saluterà tutti: “ho compiuto 65 anni – ha spiegato – e questo è il motivo principale della mia decisione. Credo sia tempo di pensare alla salute e alla famiglia, di vivere anche con meno stress. C’è una vita dopo il calcio. Ma attenzione – avverte subito – adesso e fino al giorno in cui me ne andrò, sono concentratissimo, nella mia testa c’è soltanto la coppa del mondo”. Se Drmic si confermerà il successore di Alexander Frei alla guida dell’attacco, la quotatissima nazionale elvetica potrà fare strada. Il girone la proietta agli ottavi con la Francia, anche se il ct non si fida delle squadre cuscinetto e non ha nemmeno gradito l’organizzazione logistica dei Mondiali: “i francesi sono favoriti ma noi dobbiamo riuscire ad andare agli ottavi con loro – afferma il tedesco – so che non sarà una passeggiata, Honduras ed Ecuador hanno serissimi argomenti tecnici e sono ben messi tatticamente. Per passare dovremo dare il meglio”. Al termine di un’avventura durata sei anni, i suoi giocatori vogliono salutare il ct con un regalo indimenticabile, andare un’altra volta ai quarti come successe l’ultima (e seconda) volta nel 1954 ai Mondiali giocati in casa.

riberyFrancia – In Sudafrica fu il disastro generale, zero punti e la vergogna dell’ammutinamento. Finita l’infausta era-Domenech, la Francia è ripartita prima da Blanc, ora da Deschamps, ma la strada è stata sempre in salita. La prima discesa, i Bleus l’hanno intravista proprio ai mondiali in Brasile: dopo essersi qualificati per miracolo allo spareggio con l’Ucraina, hanno avuto pure il “regalo” del girone più comodo. I francesi, che nel 2010 si qualificarono anche lì all’ultima partita e con il brutto episodio della mano di Thierry Henry che fece fuori l’Irlanda del Trap, sono approdati ai mondiali quando ormai non ci speravano più. Spareggio di andata perso secco in Ucraina, poi partita della vita allo Stade de France e qualificazione ribaltata. Novanta minuti giocati da Ribery e compagni alla morte hanno fatto dimenticare un girone di qualificazione stiracchiato e dominato dalla Spagna. Con qualche sospetto malevolo, i francesi – ultimi arrivati – hanno goduto in sede di sorteggio di una benevolenza senza pari, finendo nel girone con Ecuador e Honduras, a spartirsi il podio con gli svizzeri. Come però spesso avviene nel calcio, l’andamento di una partita, il suo risultato finale o un episodio, possono rovesciare uno stato d’animo. E la magica serata di novembre ha restituito alla Francia la voglia di sentirsi una squadra, a Didier Deschamps uomini finalmente motivati. E adesso i Bleus si propongono come possibili aspiranti alla fase finale, forti di una formazione di grande tradizione ma soprattutto di talenti emergenti. Il primo di questi si chiama Paul Pogba, ha 21 anni, ha appena vinto lo scudetto con la Juventus e i più grandi club europei farebbero carte false per portarlo via da Torino. In nazionale è già inamovibile. In attacco ci sono due star assolute come Ribery, al top con il Bayern Monaco, e Benzema, che finalmente ha smesso di essere l’eterna promessa al Real ed è esploso con tutte le sue potenzialità. Matuidi, campionato straordinario il suo al Paris Saint-Germain, completa un centrocampo ottimo, mentre qualche dubbio si può nutrire soltanto sulla difesa: il portiere Lloris sembra aver perso sicurezza, gli altri difensori – da Evra a Sakho, da Sagna a Debuchy, non sembrano all’altezza degli altri reparti.

valenciaEcuador – L’Ecuador si è qualificato al terzo mondiale della sua storia restando imbattuto alle alte quote in patria e a zero punti ad ogni ritorno dalle trasferte. La speranza di arrivare per la seconda volta agli ottavi, dopo l’exploit in Germania, è tenue. Eppure, gli ecuadoregni agli ordini del colombiano Reinaldo Rueda, avrebbero un motivo tutto speciale per superarsi nel mondiale brasiliano, pur arrivando in un girone in cui Francia e Svizzera non avranno troppe difficoltà a qualificarsi: onorare la memoria di Chucho Benitez, morto in circostanze misteriose l’estate scorsa a Doha, in Qatar, dove aveva da poco firmato un contratto con l’Al Jaish. Chucho, figlio del recordman di presenze in nazionale Ermen Benitez, aveva contribuito con i gol e l’esperienza alla qualificazione mondiale, i qatarioti lo avevano comprato per 10 milioni di euro. Il paese è piombato in un lutto profondo dopo la sua morte, sopraggiunta per un misterioso arresto cardiaco dopo la prima partita in Qatar, il ct Rueda a nome di tutti ha chiesto alla Fifa di ritirare eccezionalmente il suo numero 11 dalla lista ma non è stato esaudito. La formazione può contare su diversi elementi di livello internazionale, come Christian Noboa, centrocampista della Dinamo Mosca, e soprattutto la star Antonio Valencia del Manchester United. C’è l’immancabile vecchia guardia, con Walter Ayovi e Edison Mendez che sembrano inamovibili, e ci sono i giovani promettenti primo fra tutti l’altro Valencia, il 24enne Enner, che gioca in Messico con il Pachuca. Il test per i sogni dell’Ecuador è fissato per il 15 giugno a Brasilia, quando i sudamericani affronteranno una formazione compatta come la Svizzera.

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