Livorno, 20 ottobre 2012, stadio “Armando Picchi”. I labronici affrontano l’Hellas Verona per la decima giornata del campionato di serie Bwin. Ma non siamo qui per commentare lo svolgimento del match vinto per 0-2 dagli scaligeri.
Nel corso del primo tempo, dal settore ospiti gremito di tifosi gialloblù parte un coro: “Morosini figlio di putt…”. Intonato a tempo, scandito a chiare lettere. Lo sfortunato protagonista della tragedia dell’Adriatico pesantemente insultato.
Gli sfottò ci stanno, sono il sale del calcio, così come gli insulti, quelli che potremo definire da stadio, fanno parte del gioco. Suvvia, non siamo mica dei santi, chi di noi non ha mai indirizzato quell’espressione poco carina nei confronti di Del Piero, Totti, Ibrahimovic, Cassano e qualsivoglia altro giocatore, o nei confronti della tifoseria avversaria. E non solo! Terroni, polentoni, apprezzamenti su mamme e sorelle, giudizi sulla scarsa fedeltà delle consorti, fiamme, incendi e le più varie catastrofi da abbattersi sulle città della squadra avversaria o crolli dei loro monumenti simbolo. Ma un conto è lavorare di fantasia e rivolgersi a chi fisicamente c’è, un altro è oltraggiare, profanare la memoria di un morto. No, grazie, a tutto c’è un limite, non siamo mica degli animali, mai valicare i limiti della decenza e del semplice rispetto che un essere umano dovrebbe nutrire nei confronti di un proprio simile. Figuriamoci verso chi non c’è più.
Il gesto di questa fetta di supporter veronesi è assolutamente inutile, gratuito, stupido, irrispettoso, vergognoso, orribile, schifoso. Che motivo c’è di insultare un ragazzo strappato nel fiore della giovinezza così tragicamente? Perchè adoperare questo pesante epiteto nei confronti di un defunto? No, non è demagogia, sentimentalismo o eccessivo buonismo. Quello che è successo l’altro giorno nel settore ospiti dell’Ardenza è assolutamente inconcepibile, inammissibile, incomprensibile ed ingiustificabile. Il bistrattato calcio italiano sabato ha toccato uno dei punti più bassi degli ultimi tempi, forse della sua storia. E questa è stata l’ultima barbarie.
Ormai se ne vedono e se ne sentono di tutti i colori negli stadi e non solo, succede di tutto, ma quello andato in scena a Livorno è uno spettacolo da ufficio censura e al quale avremmo preferito non assistere, mai.
E poi, diciamocelo chiaramente, lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, la tifoseria veronese non è certo la prima volta che è protagonista di episodi del genere, che la fanno distinguere come una delle più esagerate e pericolose d’Italia, infangando così e il buon nome di una squadra e di un’intera città.
Perchè dopo è istintivo esagerare, augurarsi che gli slogan su Verona, l’Arena, il balcone di Giulietta o l’Adige un giorno si avverino, è normale essere d’accordo con le dichiarazioni di Andrea Luci, capitano del Livorno: “Questa società andrebbe radiata, non merita di esistere”. Avrebbe fatto bene, insieme a compagni, società e tifosi, a chiedere l’interruzione del match, ma chissà quale vespaio di polemiche avrebbe suscitato.
E’ auspicabile che gli autori di questo coro immondo siano al più presto individuati dalle forze dell’ordine e che, soprattutto, vengano date quelle pene esemplari invocate da tutte le parti. Ma non basterà mai un semplice Daspo, anche vita natural durante, o una salatissima multa all’Hellas ad aggiustare le cose. E’ una questione di civiltà, qui c’è in ballo la dignità personale. Certa gente non è degna di recarsi allo stadio e guardare una partita di pallone, certa gente non merita di godere del più grande dono a loro concesso: la vita. Proprio quella che il fato ha voluto strappare al centrocampista bergamasco quel pomeriggio a Pescara.
Forse la punizione esemplare non è ancora contemplata dall’ordinamento giuridico italiano, sportivo e non, perchè non c’è nulla che possa cancellare quanto accaduto, che possa lavare l’onta dell’offesa recata al povero Piermario.
Speriamo soltanto che da lassù, o da qualunque posto egli si trovi, non abbia sentito quelle bestie senza cervello, senza cuore e senza anima…