Giampiero Ventura continua ad essere uno degli allenatori italiani che fanno giocare bene le sue squadre e, nonostante non stia attraversando un periodo facilissimo con il Torino, anche con i granata negli anni passati ha dimostrato di raggiungere anche obiettivi non prefissati dalla società ad inizio stagione, vedi i quarti gli ottavi di Europa League. La sua avventura con il club di Urbano Cairo, però, potrebbe finire a giugno e il tecnico ligure, in una intervista al “Corriere dello Sport”, svela che gli piacerebbe allenare la Nazionale italiana:
“Altroché se mi piacerebbe. Mi hanno proposto di andare lontano, all’estero, per allenare una nazionale. Mi garantivano tanti soldi ma io non ho accettato. E le dico di più: se mi chiedessero, lo dico per fantasia, di scegliere tra il Bayern o il Chelsea e la Nazionale azzurra io non avrei dubbi. I soldi sono importanti, come sa chi non li ha o chi non li ha avuti, ma allenare l’Italia sarebbe un tale onore che davvero non sarebbe paragonabile con il più redditizio dei contratti. Le aggiungo una cosa: sono convinto che stia crescendo una generazione di giovani calciatori che potrebbero consentire alla nostra nazionale di aprire un ciclo come fu quello tra il 1978 e il 1982. Sono convinto che si potrebbe allestire una squadra che sappia fare risultati e bel gioco, programmando e selezionando, per i prossimi mondiali, il meglio della nuova generazione del calcio italiano“.
Ventura ha poi fatto una panoramica sui talenti italiani: “Ce ne sono tanti, in ogni ruolo. Dal portiere alle punte. Esistono le generazioni nel calcio, come le annate del buon vino. Sta per affermarsi una generazione piena di talenti. Se vuole dei nomi le posso fare quelli di Berardi, Zaza, Baselli, Benassi… Ma ce ne sono tanti altri, in A come in B. Conte sta facendo un ottimo lavoro ma forse per gli Europei alcuni di loro non sono pronti. Tuttavia si può programmare per i prossimi anni. Lo fecero Bearzot e Vicini. E poi Lippi nel 2006. E furono le nazionali più vincenti della nostra storia“.
Nella sua carriera il tecnico ligure ha allenato molti talenti e tra questi ce ne uno che gli è rimasto impresso: “Fabian O’Neill. Era un vero campione. Ma beveva, beveva tanto. Finché stette con noi, al Cagliari, si comportò da professionista. Prima e dopo un disastro. Alla Juve si accorsero della situazione e durò poco. Ma in campo, quando toccava la palla, accendeva la luce. Incarnava l’essenza del calcio. Non ha lasciato il segno perché, in lui , il calciatore e l’uomo si erano separati, erano entrati in conflitto. Un allenatore deve prendere per mano un ragazzo così e aiutarlo a ritrovarsi. E’ quello che facemmo con lui“.
Ventura spiega poi il motivo per cui non è mai riuscito ad approdare in una big: “E’ colpa mia. Io non ho percepito il momento in cui il calcio ha cambiato pelle. Per me, nella vita e nel lavoro, l’importante è essere, non apparire. Andavo poco e niente in tv, pensavo contassero i risultati. Il calcio stava invece diventando presenza mediatica e immagine, più che vittorie sul campo. E io non ho percepito questo mutamento in tempo. Quindi è colpa mia. O, meglio all’ottanta per cento. Perché forse dirigenti coraggiosi avrebbero potuto scegliere chi faceva più punti che interviste. Diciamo che almeno il venti è del conservatorismo pigro di certo calcio. Devo dire che sono stato cercato da Lazio, Fiorentina e anche dalla Juve. Se il mio amico Marcello Lippi non avesse mollato dimettendosi, nel 1999, probabilmente a fine campionato sarebbe toccato a me. Invece chiamarono Carlo Ancelotti, che era fermo, mentre io allenavo il Cagliari. Se le cose che ho fatto in Sardegna o a Bari o a Lecce o oggi a Torino le avessi fatte con una grande squadra forse sarebbe cambiato molto, almeno per me“.
Infine chiusura sul Torino, un club dalla storia incredibile: “Questa storia è nel dna dei tifosi e della città. Sono stati momenti terribili, che hanno spezzato sogni. Bisogna portarli dentro, con orgoglio e dignità. Ma occorre anche onorare la maglia guardando avanti. Il Torino non è stato solo grande ieri, deve tornare ad esserlo oggi e lo stiamo facendo. E’ chiaro che nel calcio moderno tra chi ha introiti per 400 milioni e chi ne ha per quaranta ci sarà sempre una differenza. Oggi il nostro target è l’Europa e a quello parametriamo i nostri sforzi. La maglia granata pesa, per la sua storia. Ma è una maglia bellissima anche per quella storia“.
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