In molti lo rimpiangono ancora dopo il suo addio alla panchina della Nazionale italiana tanto che, sulle spalle dell’attuale ct Giampiero Ventura, la sua ombra aleggia ancora con insistenza. Stiamo parlando di Antonio Conte, che ha preferito sposare una nuova avventura in terra inglese sulla panchina del Chelsea. Il tecnico italiano, nel corso di una lunga intervista concessa a Paolo Condò su ‘Sky Sport’, ha ripercorso tutte le tappe della sua carriera, prima da calciatore e poi da allenatore. Si parte dal suo trasferimento alla Juventus: “Sapevo che c’erano degli osservatori che mi seguivano negli allenamenti e nelle partite. Fu un cambiamento molto importante. Se qualcuno mi avesse detto che arrivato a Torino sarei rimasto 13 anni, vincendo tutto e che sarei diventato capitano gli avrei risposto di farsi a curare… Arrivare a Torino è stata durissima, pochi giorni prima ero in spiaggia a Lecce, lì ero solo in mezzo alla nebbia. Non riuscivo a dare del tu ai miei compagni, da Baggio a Schillaci”.
In bianconero però i successi non sono certo mancati, così come le delusioni: “Nel ’96 sono diventato capitano, ricordo con grande emozione il mio primo scudetto e quello del 2002 vinto a Udine. Il ricordo di Perugia invece è devastante, non ho dormito per cinque giorni”. Scudetto che arrivò a sorpresa nel 2012, al suo primo anno sulla panchina della Juventus: “E’ la più grande impresa che sia stata fatta. In partenza eravamo considerati da settimo o ottavo posto. Siamo riusciti a creare qualcosa di fantastico, un’alchimia che poteva superare ogni ostacolo. Se avessi detto ai miei calciatori: ‘Andiamo sopra ad un palazzo e buttiamoci di sotto’, ci saremmo andati tutti. C’era una fede incondizionata, a ricordarlo mi viene la pelle d’oca”. Conte quindi ringrazia in particolare i due senatori di quella squadra: “Del Piero e Buffon sono stati fondamentali, Alex rispose alla grande nel momento caldo del campionato; aveva forza, responsabilità e classe per fare la differenza. Ricordo l’ultima gara che ha giocato contro l’Atalanta, lo stadio si è fermato: si fa fatica a non emozionarsi in un momento così. Quell’anno il Milan era il grande favorito ma noi avevamo tutto in più rispetto agli altri”.
La carriera da allenatore è poi continuata in azzurro: “I miei genitori erano estasiati, così come lo ero io. Allenare l’Italia è qualcosa di incredibile e tutta la mia famiglia era favorevole a questa mia decisione, soprattutto dopo tre anni vissuti intensamente, con grande passione. Andare ad allenare la Nazionale è stata anche una forma di rispetto nei confronti della Juventus”. Due anni e mezzo indimenticabili, chiusi con la grande delusione di Euro 2016: “Quello che siamo riusciti a creare in quei cinquanta giorni che siamo stati insieme è qualcosa di unico e straordinario. Una famiglia. Quando abbiamo perso con la Germania tutti piangevano perché sapevano che il giorno dopo non ci saremmo più visti. Fossimo passati noi ai rigori avremmo avuto grandi possibilità di vincere l’Europeo. C’è stato anche un momento in cui ho rimpianto di aver già deciso di cambiare: se non avessi firmato per il Chelsea… Non avrei potuto abbandonare i ragazzi”.
Chelsea che adesso rappresenta però presente e futuro di Conte: “Un grande club, nuovo, con giocatori e abitudini differenti. Qui la struttura è straordinaria e io lavoro di più che in Italia. La figura del manager è più totalizzante, la sfida è stimolante e sono da solo perché la mia famiglia per il momento è rimasta in Italia. Ho la voglia di portare qui le mie idee e il mio metodo, anche se in Italia siamo più pronti a lavorare su tattica e su altri aspetti che qui sono secondari. Differenze con la mia prima Juve? Là conoscevo tutto, sapevo come intervenire su ogni cosa e probabilmente è stato più facile”.