“E’ passato poco tempo dall’ultima partita della mia carriera, ho ancora impresse quelle emozioni. Ho raggiunto grandi successi, ci sono state anche delle piccole sconfitte dolorose, ma ho avuto una carriera ricca grazie alla fortuna di aver incontrato allenatori importanti“. Con queste parole Andrea Barzagli, difensore della Juve che ha detto basta col calcio giocato al termine dell’ultima stagione, ha salutato il pubblico di Catanzaro durante la consegna del Premio sportivo intitolato a Nicola Ceravolo, giunto alla decima edizione, al Teatro Politeama. La serata, condotta da Marika Giannini, ha visto la partecipazione sul palco dell’ideatore del riconoscimento, Maurizio Insardà, e del direttore editoriale dell’Agenzia Italpress, Italo Cucci. Barzagli si è concesso alle domande raccontando il suo percorso di calciatore: “Agli esordi giocavo a centrocampo – ha detto – ma nel corso degli anni ho cambiato diversi ruoli, fino ai 18 anni. L’invenzione di Pillon di mettermi in difesa fu intuitiva, anche se all’inizio facevo molta fatica. In Italia dovremmo avere un po’ più pazienza nel far crescere i nostri ragazzi, si guarda forse troppo ai risultati. Rispetto agli altri Paesi, si arriva tardi in serie A“.
“Il Mondiale è stato l’emozione più forte, ma pensando all’età che avevo non me la sono goduta come avrei potuto qualche anno dopo. Anche il primo scudetto con la Juve vinto da non favoriti è stato un altro momento intenso. A 19 anni ho passato sei mesi in panchina in serie B, sono stati momenti bui, ma allenarsi con più rabbia ti aiuta a crescere. A Palermo ho conquistato la nazionale, in Germania ho trascorso un’esperienza fantastica che mi ha lanciato poi alla Juve, grazie a Paratici che mi ha cambiato la vita dopo avermi acquistato per 300 mila euro. Siamo ripartiti dopo tanti anni che non si vinceva e c’era grande entusiasmo all’inizio. Ogni anno è stato sempre più difficile ed è subentrata la voglia di vincere altro che ha portato qualcuno a vedere il campionato come un obiettivo secondario. Anche le ultime due finali di Champions le abbiamo perse sul campo contro squadre fortissime. I migliori con cui ho giocato? Cristiano Ronaldo, Buffon e Pirlo“.
“Non mi sento un vero leader, sono di poche parole, faccio molto gruppo durante l’anno. Buffon, Chiellini e Bonucci, in qualsiasi frangente, si fanno sentire, hanno fondamentali utili per far crescere un gruppo. Buffon dopo il Psg non so cosa farà, è una persona alla ricerca di sfide, quando smetterà troverà un ruolo per cui saprà essere incisivo. Conte è un martello sul lavoro, non si rilassa mai, ha fatto rinascere la Juve. Allegri gioca di più sulla complicità, entrambi hanno garantito una crescita. La scelta di Conte di andare all’Inter è puramente lavorativa, si può criticare o meno. Allegri in questi anni è sempre stato sotto stress, ha subito troppe critiche per quanto ha dimostrato di essere vincente, ma si è capito dalle due parti che era meglio lasciarsi. Guardiola? Ogni tanto è bello sognare, abbiamo passato anni in cui non arrivavano più campioni, dopo Cristiano Ronaldo oggi ci sta fantasticare. L’allenatore, che credo abbiano già scelto, sarà quello giusto per dare un’idea nuova e vincente“.
“La nazionale di Mancini è un gruppo di giovani, spensierati, con dietro gente di esperienza e personalità. L’importante è essere positivi e fiduciosi, negli ultimi anni c’è stata troppo negatività, ma ci sono dei cicli e vedo una nazionale in crescita che potrà regalarci soddisfazioni. Futuro? Quando giochi a calcio per vent’anni, non sei ancora pronto per fare l’allenatore o il dirigente. Per affrontare nuove esperienze nel mondo del calcio andrò a fare il corso di Coverciano, studiare e imparare dalle persone che fanno quel lavoro da tempo“.