Sacchi si racconta: dalle incomprensioni con Baggio alla promessa di Berlusconi

E' un Arrigo Sacchi a 360 gradi quello che si racconta a 'Il Giornale' in una lunga intervista nei giorni dell'uscita del libro 'La coppa degli immortali'.

CalcioWeb

Il cinema, gli esordi nell’azienda di famiglia, la passione per il calcio, il mondiale del 1994, la politica e una riflessione su ‘vizi e virtù’ del Belpaese. E’ un Arrigo Sacchi a 360 gradi quello che si racconta a ‘Il Giornale’ in una lunga intervista nei giorni dell’uscita del libro ‘La coppa degli immortali’.

Dopo i mondiali negli Usa arrivò l’offerta per un film a Hollywood. Dissi a mia moglie: ‘Se c’è Sharon Stone però io ci vado’. Nel film avrei dovuto fare l’allenatore. All’inizio ero interista, ma non mi piaceva come giocava. Preferivo il calcio olandese, l’Ajax di Crujiff: mi chiedevo perché non potessimo anche noi italiani giocare in quel modo così bello e rivoluzionario. Pentito di essere stato Ct? No questo non è vero. Le esperienze sono tutte importanti e questa è stata una grande esperienza ma difficile. Allenare una nazionale non è come allenare un club, non lavori tutti i giorni con i tuoi giocatori: la sensazione era quella di un eunuco in un harem di belle donne“.

Incomprensioni con Baggio? Con Roby nessun problema, abbiamo fatto uno spot pubblicitario assieme subito dopo il mondiale. L’allenatore deve prendere delle decisioni. Baggio era il pallone d’oro e forse pensava che io fossi il suo allenatore, ma io ero l’allenatore dell’Italia, non il suo. E se ho un pregio, che è anche un difetto, è che sono una persona onesta. Mi chiese se avrei sostituito anche Maradona? Gli risposi che non lo avevo mai allenato ma Gullit e Van Basten sì, e avevo sostituito entrambi. Non erano certo meno campioni di Diego“.

In Italia il calcio è esattamente lo specchio della vita e della storia del nostro Paese. Ho fatto fatica a far correre le mie squadre perché è dai tempi dei romani che noi corriamo all’indietro. L’unica volta che abbiamo vinto una guerra è perché abbiamo giocato in contropiede. Lì persi due zii, uno aveva 19 anni, l’altro 22: li mandavano allo sbaraglio. La seconda guerra mondiale? Stessa cosa, sempre quell’idea di essere più furbi degli altri, di poter approfittare della situazione. Mussolini sapeva benissimo che non eravamo pronti per combattere una guerra, i generali lo avevano informato. Io ho sempre voluto bene all’Italia anche se ne conosco i pregi e i molti difetti. Non sopportavo che Brera dicesse che non potevamo competere con gli inglesi o i tedeschi perché noi mangiavamo polenta e pasta e loro carne. Pensavo, ma come? Custodiamo la bellezza del pianeta, abbiamo avuto campioni della fatica come Pamich e Dordoni e non possiamo competere con gli altri? E’ questione di testa, non di fisico: io non ho mai pensato che il calcio nascesse dai piedi ma dal cervello“.

Berlusconi ha una grandezza naturale e io gli devo molto, soprattutto il fatto di aver sempre creduto in me quando avevo tutti contro. Con lui il primo anno firmai in bianco: dissi a lui e Galliani, o siete dei geni o siete dei folli, in ogni caso vi devo venire incontro. Siamo andati oltre la missione: volevamo diventare la squadra più forte del mondo, siamo diventati la squadra più forte di tutti i tempi“. E sulla visita a palazzo Chigi prima di partire per gli Usa, la promessa di Berlusconi. “Mi disse: ‘se vince questa la faccio ministro dello Sport’. Gli risposi: ‘ma non esiste nemmeno il ministero dello Sport’. E lui: ‘Beh lo creiamo’. Gli dissi. ‘Dottore se la mia impresa è difficile la sua è impossibile. Perché l’italiano ha il senso della nazione ma non il senso dello Stato’“.

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