Era il 27 novembre del 2005 e al “San Filippo” si giocava Messina-Inter. Marco André Zoro, difensore ivoriano dei padroni di casa, all’ennesimo ululato nei suoi confronti, proveniente dal settore ospiti, prese in mano il pallone e si avviò verso gli spogliatoi. Un gesto passato tristemente alla storia. Quasi quattordici anni dopo non sembra essere cambiato nulla e lo stesso Zoro, intervistato da “La Gazzetta dello Sport” è amareggiato.
«Sono felice di come ha parlato Infantino, senza peli sulla lingua, in una occasione così importante. E lo ringrazio. Forse questa denuncia servirà finalmente a smuovere qualcosa, perché in 15 anni in Italia non è cambiato nulla, per colpa dello Stato e della Federcalcio che non hanno lottato come avrebbero dovuto contro il razzismo».
L’arbitro dovrebbe interrompere la gara, ma spesso non lo fa.
«Perché di razzismo non si deve parlare e allora si chiudono gli occhi e le orecchie. Ma più si chiudono le orecchie e gli occhi, più la gente ne parla, perché gli italiani non sono razzisti. Io ho fatto esperienza e ricordo un popolo fantastico e caloroso. Il problema sono gli esempi e l’educazione. Dal livello più alto al più basso serve intransigenza contro il razzismo. Se un ministro della Repubblica, come la Kyenge, viene definita scimmia da un collega politico, diventa più difficile combattere il razzismo negli stadi».
I club minimizzano parlando di “4 stupidi“.
«I quattro stupidi poi diventano mille. Gli insulti per provocare o disturbare l’avversario sono una cosa, il razzismo un’altra. Se per colpire un uomo, io attacco il colore della sua pelle, sono razzista e basta».
Zoro ricorda il suo episodio.
«Il ricordo di tanta solidarietà: Adriano e i giocatori in campo, il dirigente Facchetti che chiese scusa a nome dell’Inter, i messaggi, le telefonate, i fax che mi travolsero nei giorni successivi… Ma accanto al ricordo di tanto affetto, c’è altrettanta amarezza e delusione: dopo 15 anni in Italia è rimasto tutto uguale. Il mio caso non è servito a nulla. I tifosi dovrebbero pagare per vedere uno spettacolo, se si pagano il diritto di ululare, è giusto negargli lo spettacolo. Se Stato e Federcalcio non fanno nulla, è giusto che i calciatori di colore insultati si difendano da soli, anche lasciando il campo».
Zoro ha 4 figli, ma non ha dubbi se far vedere loro o meno il suo episodio.
«Ho 4 figli. Ne ho già parlato ai due più grandi: Janni, 12 anni, e Raina, 5. A scuola gli hanno chiesto perché volevo uscire dal campo. Ho spiegato. La scuola è tutto. L’educazione. Io vivo ad Abidjian e collaboro a un programma statale per l’inserimento dello sport nelle scuole della Costa d’Avorio. Organizziamo campionati di calcio, pallamano e basket che durano tutto l’anno, per tenere i bambini lontani da droga e prostituzione, ma anche per insegnare che la vita è una cosa splendida da condividere con gli altri. Si gioca insieme, si studia insieme, si mangia insieme. Così impari che chi si siede accanto a te è come te. E’ così che si combatte il razzismo».