Walter Zenga si racconta: dall’origine del suo soprannome alle voci sull’Udinese fino all’episodio di Lalas

Walter Zenga, allenatore di calcio ed ex portiere dell'Inter e della Nazionale, si racconta ai microfoni de "I Lunatici" di Radio2

CalcioWeb

Walter Zenga è stato uno dei portieri italiani più forti di sempre. Da allenatore ha raccolto alterne fortune, ma oggi il suo nome è accostato alla panchina dell’Udinese. Zenga si è raccontato a “I Lunatici” su Radio 2: dalla Nazionale al soprannome di “Uomo Ragno” fino agli aneddoti della sua carriera.

“Il soprannome di Uomo Ragno? Ero stato escluso dalla nazionale di Sacchi, uscendo dallo spogliatoio allacciandomi la tuta canticchiavo ‘Hanno ucciso l’uomo ragno’ di Max Pezzali e sono diventato l’Uomo Ragno. Il mio soprannome originale era quello che mi diede Gianni Brera, ‘deltaplano'”,

Capitolo Italia ’90. “L’unica cosa che non s’è detta di quel Mondiale è che abbiamo vinto sei partite, ne abbiamo pareggiata una e siamo arrivati terzi. E’ qualcosa di impensabile. Purtroppo con l’Argentina perdemmo ai rigori – racconta Zenga – e fu una brutta botta. Mai come in quel mondiale c’era una squadra che meritava di vincere ed era l’Italia”. “Il San Paolo che tifò contro? Un po’ leggenda un po’ verità. Venivamo da Roma, avevamo giocato sempre all’Olimpico tutto esaurito, ci trovammo a giocare contro l’Argentina a Napoli, a casa di Diego. C’era un ambiente diverso, ma non abbiamo perso per quello”.

“Da quando ho iniziato a giocare a calcio ho sempre fatto radio, televisione, registravo, presentavo programmi, è sempre stata una passione parallela a quella del calcio, volevo diversificare la mia attività”, ricorda. “Io playboy? Mah, un playboy non si sposa, io invece mi son sposato sempre. Mi chiedo oggi cosa sarebbe stato di me con i telefonini e i social rapportati al mio tempo. Sarei stato un influencer? Forse, ma forse non mi sarei sposato…”, scherza. Zenga ora fa l’allenatore. “A marzo, quando il Venezia mi ha mandato via, non ho dormito. Vivo il mio lavoro al cento per cento, quando alleno mi sveglio anche la notte e mi metto a studiare determinate situazione di gioco. Ma anche da calciatore ogni partita persa era una stilettata. Se perdevo non riuscivo ad uscire di casa. Oggi è diverso – ammette – con tutti gli stranieri che ci sono in Italia”.

“Vi racconto un aneddoto: Lalas, il calciatore americano del Padova, una volta, dopo una sconfitta, lo trovai in televisione a suonare la chitarra. L’ho ritrovato a Boston, perdemmo una partita, io uscii la sera e lui mi disse che non dovevo uscire dopo una sconfitta. Gli ricordai quanto fatto da lui in Italia. Oggi non c’è più il senso di appartenenza che c’era una volta. Quando giocavo i derby di Milano contro i Maldini, i Baresi e i Costacurta – ricorda Zenga – chi perdeva non usciva di casa davvero. Oggi è tutto molto più professionale. Uno straniero non può vivere un derby Milan-Inter come capitava a me e a Maldini, per fare un esempio”.

“Nella mia carriera ho allenato grandi squadre, tra cui Sampdoria, Palermo, Catania, Crotone. Per certi allenatori che retrocedono vengono riconosciuti dei meriti, per me no. Ad esempio sono retrocesso col Crotone – dichiara – ma nel girone di ritorno abbiamo fatto un campionato pazzesco”.

Si fa il suo nome per l’Udinese:Spero che ci sia qualcosa di concreto. Anche in questo caso, appena è venuto fuori il mio nome per l’Udinese, è subito uscita una falsa notizia – dice Zenga – secondo la quale sarei indeciso perché dovrei fare un programma televisivo. Ma come si fa a scrivere una cosa del genere? A Genova con la Sampdoria stavo facendo cose regolari, mi hanno esonerato e per poco non vanno in Serie B. Ma nessuno me lo ha riconosciuto. Ma voglio guardare al presente”.

Infine sull’Inter, suo storico club di appartenenza da giocatore: “Non dimenticherò mai la finale di Coppa Uefa con il Salisburgo, che vincemmo uno a zero. La mia ultima partita con l’Inter, la serata perfetta. Se uno avesse dovuto scrivere il finale di un film, quello sarebbe stato il finale perfetto. Sapevo da un po’ che dovevo andar via, anche se il presidente Pellegrini continuava a negare tutto. Quella sera fu la mia vita”.

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