Storia degli Europei – Dalla monetina azzurra al mitico cucchiaio di Panenka

La storia degli Europei, il racconto delle edizioni 1968, 1972 e 1976: l'Italia gioca a 'testa o croce', Panenka inventa il cucchiaio

CalcioWeb

Dopo le resistenze dei primi anni, la competizione ormai ha preso piede, alla fine la cara, vecchia Europa si è infiammata e, dunque, si parte per la terza edizione degli Europei. Le novità sono due ed entrambe di rilievo: sono troppe le iscritte per pensare alla solita fase preliminare a eliminazione diretta, dunque ecco i gironi e poi, finalmente, la Germania Ovest si degna di partecipare.

La nemesi, però, è in agguato e i tedeschi alla fase finale non ci arrivano, perché nel gironcino a tre prevale la Jugoslavia a causa di un inopinato 0-0 della Germania Ovest vicecampione del mondo contro la modestissima Albania. Per il resto, negli altri gironi, nulla di particolare da segnalare, con tutti i pronostici più o meno rispettati.

L’Italia all’improvviso… la famosa monetina

Gli azzurri di Valcareggi, quelli della rinascita dopo l’onta dell’eliminazione patita ai Mondiali inglesi del 1966 ad opera dei coreani del Nord, si sbarazzano senza troppi problemi di Romania, Svizzera e Cipro e, trascinati dal pallone d’oro Gianni Rivera, approdano ai quarti di finale, questi si, ad eliminazione diretta con gare di andata e ritorno.

Gli accoppiamenti dei quarti sono equilibratissimi e di alto livello: l’Urss se la vede bruttissima con l’Ungheria che riesce a superare a Mosca ribaltando con tre reti a zero lo 0-2 dell’andata, l’Inghilterra campione del mondo sconfigge sia in casa che a domicilio i campioni d’Europa ancora in carica della Spagna, mentre la Francia fa la voce grossa contro la Jugoslavia.

All’Italia, in teoria, toccherebbe l’impegno più morbido, contro la Bulgaria, ma a Sofia le cose si mettono male (complice l’infortunio di Picchi che lascia gli azzurri in dieci) e i padroni di casa volano sul 3-1. Ci pensa “Pierino la peste”, Prati, a sette minuti dalla fine, ad apparecchiare la gara di ritorno transitando da un non irrimontabile 3-2.

Due settimane dopo, al “San Paolo” di Napoli, la musica è diversa e ci pensa ancora Prati, dopo pochi minuti, a mettere in chiaro questo concetto prima che il sugello finale arrivi da Domenghini per il 2-0 definitivo che porta gli azzurri alla fase finale, alle semifinali.

La fase finale si gioca in Italia e gli azzurri si ritrovano in campo ancora a Napoli, il 5 giugno di quell’inqueto 1968, contro la temibilissima Urss, quella che 5 anni prima aveva negato alla Nazionale italiana l’accesso alla fase finale del 1964. La partita è una battaglia, al cospetto di un “San Paolo” gremito e caldissimo, gli azzurri spingono ma non riescono a sfondare e, anzi, in un paio di occasioni rischiano di capitolare.

Il match non si schioda dallo 0-0 di partenza neppure dopo i tempi supplementari e non sono previsti calci di rigore né ripetizione della gara. Sarà la sorte, il lancio della monetina a decidere la prima semifinalista. E’ ormai arrivata la sera (si è giocato alle ore 18) quando, nella pancia del “San Paolo” il capitano azzurro Facchetti sceglie la parte giusta della moneta. L’arbitro tedesco Tschenscher raccoglie la moneta e pronuncia una sola parola: Italy!

Il resto è Facchetti che “mangia” a quattro alla volta i gradini del sottopassaggio, riemerge ed esulta davanti ai 70.000 tifosi che, in un silenzio surreale di una notte tiepida, ovviamente non si sono mossi da lì mentre la scena si trasferiva dal campo agli spogliatoi.

Jugoslavia e Inghilterra: chi sarà l’avversaria degli azzurri?

E quasi contemporaneamente, a Firenze, inizia l’altra semifinale tra Jugoslavia e Inghilterra. I campioni del mondo inglesi, evidentemente favoriti, capiscono subito che non sarà una serata facile perché gli slavi corrono e giocano un football moderno e veloce.

Gli inglesi tremano, ma la Jugoslavia non sfonda, i supplementari paiono ormai scritti, ma l’ultimo guizzo è della stella slava, Dzajic, che porta la sua squadra in finale, a Roma e, al tempo stesso, rimanda i campioni del mondo a Londra.

La finale degli Europei 1968

E’ l’8 giugno del 1968, quando, alle 21.15, dal sottopassaggio di uno stadio “Olimpico” gremitissimo, l’arbitro svizzero Dienst, apre le due file delle squadre in campo. Non è un giorno come un altro, non può esserlo, l’Italia torna a giocarsi una finale 30 anni dopo il successo dei Mondiali francesi del 1938 e lo fa dopo una serie interminabile di figuracce, una lista che pareva eterna, una sorta di maledizione dopo la tragedia di Superga del grande Toro.

Come accade spesso non è solo una partita di calcio, ma questo il Paese non lo sa ancora, per il momento non ha compreso di stare consegnando alla Nazionale la delega a vestire di speranza qualcosa di indefinito, un tunnel nel quale l’Italia si sta cacciando inconsapevolmente e che la porterà nel buio degli anni settanta che, però, quell’8 giugno sono ancora là da venire…

Ma torniamo al campo: tecnicamente la Jugoslavia ha un altro passo rispetto agli azzurri, proprio come squadra, come collettivo. Certo, la squadra di Valcareggi avrebbe qualche individualità di spicco, ma la formazione azzurra è, più che altro, una squadra di gregari.

Rivera è out perché infortunato, Valcareggi si spaventa e al suo posto schiera Lodetti, un mediano, tira via Mazzola per Anastasi e così in panchina si ritrovano, seduti uno accanto all’altro, Riva, De Sisti, Mazzola e Rivera. Saranno 4 protagonisti assoluti dei Mondiali del Messico di due anni dopo.

La Jugoslavia comanda il gioco, trova il gol ancora con Dzajic e poi si specchia nella sua bellezza, non affonda il colpo, non chiude la gara e poi, al minuto 80, Domenghini, su punizione, pesca angolo, jolly e pareggio. Nei supplementari il risultato non cambia, i rigori non sono previsti, come abbiamo già visto, ma – essendo la finale – è prevista la ripetizione della gara, 48 ore dopo.

Sono due giorni infernali, il solito psicodramma all’italiana è servito e il 10 giugno sono ben 5 gli azzurri “nuovi” in campo: Riva, Salvadore, Rosato, De Sisti e Mazzola.

Stavolta la partita non ha storia, la Nazionale italiana domina dall’inizio alla fine, Mazzola, Riva e Anastasi sono imprendibili, proprio Riva e Anastasi mettono la vittoria in ghiaccio nei primi 30 minuti, l’Italia è Campione d’Europa per la prima volta nella sua storia, gli azzurri rialzano la testa per la prima volta dai tempi di Vittorio Pozzo. E’ dolcissima la notte di Roma con lo stadio “Olimpico” illuminato da migliaia di fiaccole improvvisate da giornali cui è stato dato fuoco.

Europei 1972: la Germania Ovest fa le prove dei Mondiali e… vince

All’edizione degli Europei del 1972 partecipano tutte le squadre europee tranne il Liechtenstein, ormai il format ha attecchito completamente. E’ evidente che la squadra europea emergente con prepotenza è la Germania Ovest.

Archiviato il passaggio a vuoto degli Europei di Roma, i bianchi vantano il secondo posto ai Mondiali del 66 e il terzo a Messico 70. La formazione, trascinata da Beckenbauer, già dai precedenti Mondiali si avvale di quella macchina da gol a nome Gerd Muller e il percorso verso i Mondiali 1974, che i tedeschi ospiteranno, pare inarrestabile.

Dai gironi eliminatori escono fuori questi accoppiamenti per i quarti, ancora in gara doppia: Germania Ovest-Inghilterra (remake della finale dello scandalo 1966), Italia-Belgio, Ungheria-Romania e Jugoslavia-Urss.

Tedeschi e sovietici non hanno problemi, l’Ungheria supera la Romania solo dopo un’ulteriore gara di spareggio e l’Italia, campione d’Europa in carica e vicecampione del mondo, dopo avere agevolmente superato il gironcino con Austria e Svezia, cede inopinatamente al Belgio.

Lo 0-0 di San Siro del 29 aprile 1972 non promette nulla di buono, anche alla luce del fatto che proprio il Belgio ospiterà la fase finale, e un mese dopo, a Bruxelles (esattamente ad Anderlecht), la partita resta nelle mani dei padroni di casa dal primo all’ultimo minuto e non tragga in inganno il 2-1 finale, figlio di un rigore di Riva all’ 86mo.

Le due semifinali si disputano ad Anversa, dove la Germania Ovest supera di slancio il Belgio (2-1 con gol della bandiera belga nei secondi finali) e ad Anderlecht, con l’Urss vittoriosa di misura sull’Ungheria.

La finale è, dunque, Germania Ovest-Urss e si gioca allo stadio “Heysel” di Bruxelles il 18 giugno del 1972.

Non c’è partita, i tedeschi passeggiano e vincono 3-0 con una doppietta di un incontenibile Muller. La Germania Ovest di Beckenbauer, Hoeness, Maier, Schwarzenbeck, Netzer, Heynckes è sul tetto più alto d’Europa. Sembra passato un secolo da quando non ne voleva saper di partecipare…

Europei 1976: la Cecoslovacchia e il cucchiaio più famoso della storia

L’edizione degli Europei del 1976 pare a tutti l’onda lunga dell’eterno duello tra Germania Ovest e Olanda, tra Beckenbauer e Crujiff dei Mondiali di due anni prima; non pare, alla luce dei fatti, possa esserci nessuno a insidiare lo strapotere tecnico, fisico e tattico dei bianchi e degli orange.

L’Italia è un cantiere: dopo la disfatta dei Mondiali tedeschi è arrivato il pensionamento dei “messicani” e, soprattutto, con Bernardini e Bearzot, l’apertura a un nuovo modo di giocare. Ora il modello è solo l’Olanda, con il suo calcio totale.

E nel marasma derivante da decine e decine di convocazioni (una sorta di casting continuo), nei gironi eliminatori agli azzurri tocca misurarsi proprio con la grandissima Olanda e l’altrettanto forte Polonia solo 4 mesi dopo i Mondiali tedeschi dagli esiti opposti per le tre squadre, rispettivamente seconda, terza e eliminata con ignominia.

L’esordio degli azzurri nel girone è scioccante. A Rotterdam, dopo soli 5 minuti, Boninsegna porta avanti l’Italia, prima che l’arbitro (il russo Kasakov) chiuda gli occhi su un colossale fallo di Rijsbergen su Bonimba e, soprattutto, prima che Crujiff salga in cattedra e travolga quasi da solo la Nazionale italiana. Finisce 3-1.

Il resto del girone è agonia, tranne la partita finale, inutile, in cui Capello regala all’Italia una vittoria comunque di prestigio proprio sull’Olanda, già qualificata. Ma la Nazionale di Bernardini e Bearzot non è l’unica vittima illustre; anche l’Inghilterra va a casa, vittima di una sorprendente Cecoslovacchia che elimina, nel girone, anche l’ambizioso Portogallo.

I quarti di finale vedono la Spagna maltrattata dalla Germania Ovest, però mai quanto il Belgio, letteralmente calpestato dall’Olanda (7-1 nel punteggio aggregato delle due gare). Nessun problema per la Jugoslavia sul Galles, mentre all’Urss tocca fare i conti (e le spese) con la sorprendente Cecoslovacchia.

La fase finale (e dunque le semifinali) si disputa in Jugoslavia e si tratta di due gare tiratissime, entrambe decise ai tempi supplementari: a Zagabria l’incredibile Cecoslovacchia di Nehoda e Panenka, alla fine piega l’Olanda di Crujiff e Neeskens per 3-1, mentre a Belgrado i tedeschi dell’Ovest si prendono un grande spavento contro la Jugoslavia (padrona di casa) del solito Dzajic che dopo mezz’ora conduce per 2-0. Deve pensarci, tra tempi regolamentari e overtime, un altro Muller, Dieter, con una tripletta a confezionare il 4-2 conclusivo che spinge i tedeschi in finale.

La finale per il titolo europeo del 1976 va in scena il 26 giugno a Belgrado e va bene che la Cecoslovacchia ha già fatto fuori Inghilterra, Urss e Olanda, ma i tedeschi (campioni del mondo e d’Europa in carica) restano strafavoriti.

Gli incubi per i tedeschi, però, si materializzano subito e i cecoslovacchi vanno sul 2-0 in pochi minuti, ma i teutonici non muoiono mai e la rimettono in piedi al minuto 89 con Hoelzenbein. Pari anche nei tempi supplementari, si va ai rigori (finalmente introdotti). Sbaglia il tedesco Hoeness, mentre la Cecoslovacchia li segna tutti. Il primo “cucchiaio” della storia, quello di Panenka è l’ultimo penalty della serie. Con personalità e/o incoscienza Panenka si prende il titolo, la Cecoslovacchia è campione d’Europa 1976.

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