Esistono clubs abituati a galleggiare tra Serie A e B e altri adusi a frequentare le categorie dalla terza serie in giù. La storia della Reggina è strana, perché fino a metà anni 90 – su circa 80 anni di frequentazione dei campionati – solo 12 tornei di Serie B avevano visto la compagine di Reggio Calabria protagonista.
Negli ultimi 30 anni, però, è cambiato tutto e il sistema calcio ha imparato a considerare la sponda orientale dello Stretto come punto di riferimento imprescindibile del grande calcio: parliamo di 9 anni di Serie A e 13 di B, su 30, appunto; parliamo di campioni come Perrotta, Pirlo, Baronio, Nakamura, Jiranek, Amoruso, Cozza, Taibi, Acerbi, Di Lorenzo e via così.
Quanto accaduto alla Reggina, però, ha pochissimi (se non nessuno) precedenti: sembra quasi che un incantesimo si sia abbattuto sulle maglie amaranto: fallimento nel 2015, rinascita, nuovo fallimento nel 2023, ma stavolta molto peggiore.
Peggiore perché mentre tutte le compagini che chiudono bottega lo fanno al termine di una più o meno prolungata agonia che si traduce in penalizzazioni frequenti, stipendi non pagati, retrocessioni in serie, la Reggina di Saladini e Cardona, trascinata sul campo da mister Inzaghi, solo un mese prima del tracollo era lì, con un popolo alle spalle, a giocarsi la Serie A attraverso i playoff e questo ha generato un vero e proprio incubo dal quale a Reggio Calabria non ci si riesce a svegliare.
L’arrivo di Ballarino e la ‘Fenice Amaranto’
La rinascita del calcio reggino è – in fretta e furia – stata affidata a Nino Ballarino, da Catania e chi si aspettava che la D trovasse nella Reggina (battezzata Fenice Amaranto per la prima stagione) la padrona del torneo ha dovuto cambiare idea rapidamente: troppo forte il Trapani, troppo tardi in moto il club amaranto, troppa differenza di soldi messi sul piatto tra i due club (ma anche rispetto a Siracusa e Vibonese, seconda e terza, prima della Fenice quarta).
E così, per la prima volta dopo 69 anni, la Reggina (che nei prossimi giorni dovrebbe tornare ad acquisire anche il nome dopo il marchio) si trova a disputare due campionati consecutivi nella quarta serie, una sorta di punizione infernale che comincia a pesare moltissimo in termini di affezione popolare che scema, silenziosamente ogni giorno di più, anche alla luce di una certa discrasia tra proclami di Ballarino di “assoluta necessità di vincere il campionato” e concreta percezione di costruzione di una squadra che sia realmente in grado di sbaragliare una concorrenza che si preannuncia agguerritissima.
Certamente non sono attribuibili a Ballarino le nefandezze prodotte da Gallo e Saladini (con annessi debiti in abbondante doppia cifra), ma se la piazza non si accenderà (e lo scorso anno non lo ha fatto) come accaduto in casi analoghi a Palermo, Catania, Bari, Cesena, Salernitana, Fiorentina, promosse al primo colpo, allora la responsabilità sarà solo sua e del suo staff.
Reggio Calabria non può vivacchiare in Serie D, è un insulto al football, ma è anche vero che la spocchia serve solo ad affondare (come già visto di recente con le precedenti due proprietà) e fin qui a Reggio di spocchia se n’è vista tanta, di proclami altrettanti, ma di basi per poter vincere a mani basse la serie D (così da poter con larghissimo anticipo programmare una C ambiziosa) zero.
Come sono lontani San Siro e Mazzarri, Kallon e Mozart, ma, incredibilmente, sembrano lontanissimi anche Inzaghi e Fabbian che alla fine del girone di andata erano secondi in classifica in B.
E di questo Ballarino non ha colpa ma non può neppure dimenticarsene, come se avesse accettato un’eredità: onori e oneri…