The Debut. The Return. The End. Si chiude oggi la carriera di Derrick Rose, uno dei più grandi campioni dell’ultimo ventennio NBA. Una storia, quella del nativo Chicago, che ricorda, per certi versi, quella di Ronaldo “Il Fenomeno”: talento impossibile da categorizzare con parametri già esistenti in natura, ma maledetto al punto da risultare incontenibile in un corpo che la stessa natura, il destino o la sfortuna hanno reso fragile. Un cristallo che illumina gli stessi occhi che fa lacrimare una volta in frantumi.
Derrick Rose e Ronaldo: le proiezioni di Michael Jordan e Pelè
Esiste un prima e un dopo Michael Jordan nella storia del basket, con particolare e ovvio riferimento alla storia della Chicago cestistica. Ecco, per spiegare cosa sarebbe potuto essere Derrick Rose, basta dire che il post Michael Jordan, il più iconico giocatore NBA mai esistito, a Chicago ha la maglia numero 1 e il nome che rimanda al fiore più elegante che esista.
Il paragone viene facile con Ronaldo, “Il Fenomeno” fin dai tempi in cui incantava in Brasile nel mito di Pelè, il più grande eroe della storia del calcio verdeoro. La sensazione di vedere in campo un altro ‘O Rey‘, un altro MJ, ma non la brutta copia, qualcosa di diverso ma che profumava di iconico come solo i campioni sanno fare.
Rose, playmaker dotato di un’esplosività fisica senza pari: rapido, sgusciante, gran saltatore capace di inchiodare al ferro schiacciate da poster con tanto di autografo a chi gli si poneva davanti nel tentativo di fermarlo.
Ronaldo uguale, ma usava i piedi: dribbling ubriacanti a velocità da videogioco quando i videogiochi nemmeno avevano le licenze (vero N°9?), gol a raffica, panico tra i difensori impotenti e impauriti.
D-Rose trascina Chicago fin dal debutto del 2008 (vincendo il ROY), eguaglia i 36 punti segnati da Kareem Abdul-Jabbar come record di un rookie al debutto nei Playoff. Nella stagione 2010-2011 diventa il primo cestista dei Bulls a giocare l’All-Star Game da titolare indovinate dai tempi di chi? Sì, Lui, 13 anni dopo. Chicago chiude 62-20 in regular season e Derrick Rose diventa, a 22 anni, il più giovane MVP della storia dell’NBA.
Ronaldo passa dal Cruzeiro al PSV, incanta l’Europa e si trasferisce al Barcellona vincendo Supercoppa Spagnola, Coppa delle Coppe e Coppa di Spagna; poi la Coppa UEFA con l’Inter, il primo Mondiale e il primo Palloned’Oro. A cavallo fra i secoli è il migliore al mondo.
L’infortunio career killer
Nella stagione 2011-2012, Derrick Rose smette di essere Derrick Rose: Gara-1 dei Playoff contro i 76ers, il ginocchio cede dopo una penetrazione. Le tre lettere maledette: ACL, rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. La stella dei Bulls non brillerà più. La testa pensa ciò che il corpo non riesce più a tramutare in giocata, per l’NBA Rose diventa il ricordo sbiadito di un franchise player.
Finisce ai Knicks, ai Cavs, ai T’Wolves con i quali segna 50 punti (career high) ricordando, per una sola notte, cos’è stato, cosa sarebbe potuto essere e cosa non sarà mai più. Poi ancora Pistons, Knicks e Grizzlies. In mezzo due ori Mondiali e tanti rimpianti.
Due Mondiali e tanti rimpianti, come Ronaldo. “Il Fenomeno” si lesiona (21 novembre 1999) e poi rompe definitivamente il tendine rotuleo del ginocchio destro (12 aprile 2000). Due infortuni che ne limitano fortemente fisico e carriera. Fa in tempo a vincere un altro Mondiale (2004) con annesso Pallone d’Oro. Poi Real Madrid, Milan, Corinthians, vince ancora ma non sempre da protagonista, mette su peso, il fisico gli presenta il conto definitivo.
Il primo non ha mai vinto l’anello NBA, il secondo non ha mai vinto la Champions League. Entrambi hanno fatto sognare e piangere tifosi e appassionati, sono caduti e hanno provato a rialzarsi: mai come prima, comunque per sempre.