Il ruolo del portiere è sempre stato il più complesso e psicologicamente difficile da affrontare nel gioco del calcio: non si possono fare errori e a volte rischi di non giocare per mesi, guardando giocare i tuoi compagni.
E’ il destino dell’ivoriano Boubacar “Copa” Barry sembrava essere proprio questo: 35 anni, con 3 Mondiali e 4 Coppe dì’Africa alle spalle, ma con un posto da titolare perso in favore del più giovane Gbohouo, portiere del Sewé Sports, campione ivoriano.
Appunto, sembrava, perchè Gbohouo in semifinale si è stirato, lasciando il posto a Barry per la finalissima col Ghana, con i tifosi ivoriani che già tremavano, visto la reputazione non proprio positiva di Copa, rafforzata da 12 anni al Lokeren in Belgio, passati tra errori grossolani e performance surreali: il calcio però regala emozioni indescrivibili e momenti inspiegabili, così Barry diventa l’eroe della finalissima vinta ai rigori, parandone due, distraendo gli avversari con dei finti infortuni e segnando quello decisivo.
E davanti alle telecamere il protagonista si è abbandonato alle lacrime: “Oggi è un grande giorno per me: è il compleanno di mio figlio e Dio non fa mai le cose a caso. Sono stato criticato, e le critiche non sempre aiutano a crescere. Io so che non sono grande né per taglia né per talento, però ho sempre lavorato tanto, per tutti”.
Una storia degna di un film, ma simile a quella di molti altri portieri africani. I tifosi della Roma ricordano molto bene Bruce Grobbelaar, portiere Zimbabwese del Liverpool, che durante la finale di Champions League del 1984 incantò con il suo celebre “spaghetti legs” Ciccio Graziani e Bruno Conti, mossa poi copiata da Jerzy Dudek nella finale di Istanbul contro il Milan.
Una carriera ed una vita da leggenda per questo personaggio nato come giocatore di cricket, cresciuto come giocatore di baseball e infine consacrato portiere, che tra un rigore parato e l’altro accusò i neri sudafricani di discriminarlo perché bianco (si, lo ha fatto davvero).
Il più grande portiere della storia africana viene però dal Camerun, ed è senza ombra di dubbio Thomas N’Kono, vincitore di due Coppe d’Africa con la sua Nazionale.
Proprio N’Kono però ha voluto criticare la scuola calcistica africana: “In Africa dei portieri non frega niente a nessuno. Altro che punti di riferimento, io non avevo nemmeno la tv… E nessuno mi ha mai preparato, fino a che un’anima pia, il portiere jugoslavo Vladimir Beara, non arrivò in Camerun (nei primi anni 70, ndr) a insegnarmi come si faceva il nostro mestiere. E le cose non è che poi sono cambiate tanto. In Camerun abbiamo avuto Bell, Songo’o, Kameni e ora Ondoa e Onana ma mica vuol dire che c’è una scuola: talento puro, nient’altro. Oggi i ragazzi sono fortunati perché vanno in Europa e possono crescere, l’Africa continua a non fare nulla per i suoi portieri”.
Il calcio africano non aiuterà i suoi portiere a crescere, ma sicuramente lascerà tantissime storie e dei caratteri assolutamente pittoreschi, talmente pittoreschi che un uomo decise di chiamare suo figlio Thomas, proprio in onore di N’Kono. Lo stesso uomo decise di diventare portiere grazie allo stesso N’Kono che lo aveva ammaliato durante i Mondiali italiani del 1990… quest’uomo… si chiama Gianluigi Buffon… e allora grazie Thomas, un pezzo di storia del calcio italiano è anche merito tuo.