L’addio del difensore Dainelli: “adesso in vacanza con Diamanti, Gilardino e Valiani poi…”

Dario Dainelli ha annunciato l'addio al calcio giocato dopo aver conquistato la salvezza con la maglia del Livorno
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Dario Danielli a 40 anni ha deciso di lasciare il calcio giocato dopo aver portato il Livorno alla salvezza nel campionato di Serie B, una carriera ottima per il calciatore che adesso pensa al futuro. Interessate intervista a ‘La Gazzetta dello Sport’, diversi gli argomenti trattati.

E adesso come si organizza?

«Intanto mi godo qualche giorno di vacanza con gli amici Diamanti, Gilardino, Valiani e le nostre famiglie».

Ha un’idea del domani?

«Restare nel mondo del calcio è un’opportunità, come allenatore o come dirigente non ho ancora ben chiarito con me stesso. Vorrò fare ciò che mi garantisca una gratificazione. Non mi piace intraprendere un percorso e puntare alla sufficienza. Intanto ho preso il patentino “Uefa B” per allenare fino alla D e la Primavera».

Cosa sono i 40 anni?

«Significa riflettere di più sul futuro. Avevo valutato di smettere già l’anno scorso, poi l’opportunità di Livorno l’ho accettata con curiosità».

Chi o cosa le ha fatto scegliere di dire basta?

«Non il fisico. Ma il calo della voglia di confrontarsi con gli avversari. Quando capisci che “devi violentarti”, significa che è il momento di smettere».

Che cosa le ha dato il calcio?

«La possibilità di conoscere persone nuove, ogni anno. La possibilità di aiutare il prossimo, di sostenere un gruppo, di sentirsi parte di una famiglia. Non ho fatto i conti, ma credo di aver passato più tempo con gente come Toni, Gilardino, Gobbi che con mia moglie…».

Non le mancheranno…?

«La parte atletica».

Eppure lei ha iniziato a fare sport faticosi…

«Ho pure vinto un campionato regionale di corsa campestre quando avevo 8-9 anni. Ho iniziato con nuoto e atletica perché la mamma del mio compagno di classe lo portava e io mi aggregavo. Poi suo figlio ha scelto il calcio e quindi pure io ho iniziato a praticarlo».

Ghizzano è sempre il suo ombelico?

«Ci vivono ancora i miei genitori. Mamma mi ha martellato fino ai 18 anni per studiare: quando gli altri si allenavano 4 volte a settimana, lei si accordava per 3. Mio padre è stato uno scalpellino, faceva sculture in legno. A Ghizzano si è così pochi che alle elementari in classe eravamo solo in due dello stesso anno, si raggruppavano più bambini».

Ha chiuso esordendo e salvandosi in B: orgoglioso?

«Mi sarebbe spiaciuto chiudere con una retrocessione, lascio in maniera soddisfacente».

Lei organizza ogni anno una festa a tema: quest’anno?

«”Il Grande Gatsby”, Anni Venti, tutti vestiti così».

È riconosciuto come un uomo generoso e attento a chi sta con lei: si riconosce?

«Mi fa piacere. L’anno scorso al Chievo ho ricevuto la lettera di una madre in cui mi ringraziava per essere stato d’aiuto al figlio che dalla Primavera si era inserito in prima squadra».

Quale attaccante l’ha impressionata?

«Benzema, mi metteva ansia».

Con quale si è divertito?

«Con Toni, lo prendevo in giro col mio compagno in difesa: “Occhio al lungo che è rapidissimo”, gli dicevo».