Alfredo Di Stefano è stato uno dei più grandi calciatori della storia. La Saeta Rubia, questo il suo soprannome, non era privo di vizi, anzi. Amava i soldi e le donne ma, al contrario di tanti calciatori attuali, questo non gli ha impedito di mostrare il suo enorme talento. Un gigante in campo, si applicava come nessuno: lo trovavi in attacco e in difesa senza alcuna differenza. Alfredo Di Stefano era nato a Buenos Aires nel rione di Barracas il 4 giugno 1926, un genio come lui poteva nascere solo in Argentina, la terra del calcio. Cresciuto nel River Plate, si trasferì all’Huracan per i dispetti fatti dall’allora miglior giocatore dei “Los Millonarios”, Pedernera. Già a diciotto anni aveva le idee chiare: voleva vestire da signore, avere soldi in tasca ed essere circondato da donne.
Nel 1946, Di Stefano viene richiamato dal River e per lui viene sacrificato Pedernera. Nel 1947 il River Plate vince lo scudetto e Di Stefano segna ben ventisette gol. Inizia la gloria, ma a Di Stefano interessano i soldi, tant’è che va a giocare in Colombia. Dal ’50 al ’53 gioca nel Millonarios di Bogotà, segna e vince come sempre. Le sue gesta iniziano a fare il giro del mondo. Ad avere la possibilità di ingaggiarlo è la Roma, che all’ultimo momento si tira indietro. Mai errore fu più fatale. Alla fine è il Real Madrid a beffare tutti, anche il Barcellona. Con i Blancos vince cinque Coppe dei Campioni tra il ’54 e il ’60 e nove campionati nella sua esperienza madrilena. All’apice della sua fama Di stefano viene anche rapito dai castro-comunisti e liberato senza conseguenze dopo 56 ore.
Ha giocato sia per la nazionale argentina che per quella spagnola, che lo ha “adottato”. Di Stefano fallì la qualificazione al Mondiale nel 1958, vi riuscì nel 1962 ma il destino volle che si infortunasse prima della rassegna iridata. La Spagna chiuderà ultima il girone con Brasile e Cecoslovacchia. Una carriera vincente anche da allenatore, quella di Alfredo Di Stefano, e non poteva essere altrimenti: due campionati e una Coppa di Argentina, un campionato e una Coppa delle Coppe con il Valencia, una Supercoppa di Spagna con il Real. Nel 2000 Florentino Perez lo nomina Presidente d’Onore del Real. A 88 anni, il 7 luglio del 2014, si spense. Il suo consiglio ai giovani calciatori d’oggi fu: “Per diventare bravi giocatori occorre pensare giorno e notte al pallone. I giovani che vogliono fare solo quattrini senza fatica o svolgere altri mestieri, anche soltanto per distrarsi, mentre giocano da professionisti, sbagliano, perché infallibilmente toglieranno, anche senza accorgersene, tempo prezioso al loro mestiere. Io non sono mai stato molto disciplinato nella vita privata, ho bevuto botti di vino e ho mangiato quintali di pesce fritto, ma tutto questo mi serviva per stordirmi e non pensare ad altro. E dormire. Ma in sostanza io mi sono mortificato in campo in allenamenti durissimi, mentre nei giovani d’oggi c’è la tendenza ad allenarsi poco e a non saper soffrire”. E chi meglio di lui può dirlo?