Tutti si sono innamorati di Ruud Gullit: dai tifosi del Milan a quelli della Sampdoria, dai tifosi di Feyenoord e PSV a quelli della nazionale olandese. E come poteva essere altrimenti? Una potenza fisica straordinaria, una forte personalità che lo rendeva un trascinatore e un punto di riferimento per i compagni, una tecnica sopraffina. Eppure quell’uomo di un metro e novanta che correva veloce ed era fortissimo fisicamente, era fragile. Tanti infortuni e svariati interventi chirurgici in carriera. Nato il 1° settembre del 1962 come Rudi Dil da una donna olandese e un padre con origini del Suriname, il piccolo Ruud si mette in mostra nei provini prima e nei campionati giovanili poi. Decise di adottare il cognome del padre, a suo dire “più adatto ad un calciatore”. A sedici anni firmo con l’Haarlem, dopo aver fallito un provino con l’Ajax. Si impose subito come titolare, ma la squadra retrocesse. Nella stagione 1977-78, in Serie B olandese, venne eletto miglior giovane e miglior giocatore. L’Ajax cambiò idea e provò a portarlo ad Amsterdam, ottenendo un no come risposta. La stagione successiva fu quella della svolta. Giocando da libero arrivò quarto in Eredivisie, portando l’Haarlem nelle coppe europee per la prima e unica volta nella sua storia.
Arrivò la chiamata del Feyenoord. Un primo anno poco entusiasmante, un secondo strepitoso da trequartista. L’allenatore Libregts lo definì come “il pigro negretto” e altri episodi del genere non mancheranno nei vari stadi girati. Nel 1985 passò al PSV Eindhoven, dove avanzò la sua posizione segnando 46 gol in 64 presenze. Iniziò ad essere convocato in Nazionale con una certa continuità. A notarlo, nel trofeo Gamper a Barcellona, fu il neo-presidente del Milan Silvio Berlusconi. 13,5 miliardi di lire e Gullit arrivò in Italia. Si unì ad una squadra già fortissima, schierato inizialmente da ala destra. Sacchi gli cambiò ruolo spostandolo dietro le punte e Gullit lo ripagò con grandissime prestazioni nell’era d’oro dei rossoneri. Nel 1987 vinse anche il Pallone d’Oro, che regalò immediatamente a Nelson Mandela. Vinse da protagonista l’Europeo di Germania del 1988. Viene soprannominato il “Tulipano nero”. Nel 1988-89, nonostante un’operazione fatta da pochi giorni, scese in campo nella finale di Coppa dei Campioni contro la Steaua Bucarest segnando una doppietta nel 4-0 finale. Da qui iniziò un lento declino. Nel 1993 si trasferì alla Sampdoria di Sven Goran Eriksson. Segnerà 15 gol in 31 partite, tornerà al Milan per un paio di mesi senza lasciare traccia, poi ancora Sampdoria e infine tre stagioni al Chelsea.
Ritiratosi nel 1998 iniziò la carriera da allenatore, pessima a dire il vero. In Russia fu licenziato dal Terek Grozny per le sue, diciamo così, “scappatelle notturne”. Di lui Sacchi ha detto: “Era un gran donnaiolo: una volta rispose per le rime a Berlusconi, che aveva chiesto ai giocatori 30 giorni di astinenza prima della finale di Coppa dei Campioni, dicendogli: dottore, io con le palle piene non riesco a correre”. Vita libertina, le famosissime treccine, ma anche la musica reggae: formò una band e decise di devolvere i proventi dei due album incisi in beneficenza. Berlusconi ha raccontato poco tempo fa un aneddoto di una serata a Londra: “Verso le 2 o le 3 di notte, uscimmo e mi disse ‘Presidente, ho bisogno di camminare un po’. ‘Torniamo in albergo a piedi’. ‘Abbiamo bevuto così tanto, devo fare pipì. La faccio nel Tamigi‘. ‘Ma guarda che qua siamo in Inghilterra…’ gli risposi. ‘Avevo bevuto anch’io, quindi ci fermammo entrambi per fare pipì nel fiume'”. La scenetta si chiuse con il botta e risposta: ‘Però, Presidente, come è fredda l’acqua del Tamigi’. E Berlusconi: ‘Come al solito hai ragione, in profondità è addirittura gelata‘.