È morto oggi all’età di 68 anni Ferruccio Mazzola, figlio di Valentino e fratello minore di Alessandro, ben più famosi e protagonisti del Grande Torino e della Grande Inter. Il suo nome e la sua parentela con quelli che erano due mostri sacri del calcio italiano condizionarono negativamente la sua carriera, essendo enormi le aspettative su di lui. Quasi mai impiegato nell’Inter del Mago Herrera, si mise in luce con la maglia della Lazio, con cui vinse il primo scudetto della storia biancoceleste e divenne capitano, prima di approdare alla Fiorentina.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo non è riuscito a sfondare nemmeno come allenatore ed il suo nome è legato soprattutto al libro che ha pubblicato nel 2004 “Il Terzo Incomodo“. All’interno del testo Mazzola rivolse pesantissime accuse al mondo del calcio riguardante il doping. In particolare, nel mirino di Ferruccio c’era Helenio Herrera, allenatore di quella grande Inter che vinse tre scudetti, due Champions League e due coppe intercontinentali negli anni sessanta. Secondo il deceduto, Herrera distribuiva a titolari e riserve delle pasticche capaci di aumentare le loro prestazioni atletiche. Le morti premature di Picchi, Tagnin, Bicicli, Longoni, Masiero e Miniussi sarebbero da ricondurre, secondo lui, a quelle pratiche. Mazzola denunciò anche Fiorentina, Lazio e Roma, società in cui Herrera continuò ad adoperare i suoi presunti metodi. Taccola, centravanti giallorosso morto a 26 anni, avrebbe fatto le spese proprio di questo trattamento; per quanto riguarda la Lazio e la Fiorentina, il doping sarebbe stato la causa dei decessi di Bruno Beatrice, Nello Saltutti ed Ugo Ferrante; mentre per Caso, Mattolini e De Sisti il doping fu frutto di malattie gravissime. Lo stesso Mazzola ammise di aver assunto sostanze di quel tipo.
Ferruccio, a causa di quelle accuse, ruppe i rapporti con il fratello Sandro, il più famoso Baffo, e con la società nerazzurra che lo querelò per diffamazione, chiedendo 3 milioni di euro per danni morali e patrimoniali da devolvere in beneficenza. Il giudice non riscontrando nulla nel libro di diffamatorio, respinse la richiesta della società, costringendola anche al pagamento delle spese processuali.
Si è spento a Roma dopo una lunga malattia.