Serie A, questione di tattica: il marchio del 4-3-3 sulla testa del campionato

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Dall’Inter di Mancini al Sassuolo di Di Francesco, passando per la Fiorentina di Paulo Sousa: campionato nel segno del 4-3-3

Siamo sinceri, pronosticare una simile classifica dopo cinque giornate dall’inizio dei giochi era roba difficile da fare. Immaginare un’Inter in testa a punteggio pieno, con Roma e Juve ad arrancare, era davvero dura da immaginare. Ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti, e ci raccontano della squadra nerazzurra capolista, seguita a ruota da Fiorentina e Sassuolo. Un podio del tutto nuovo e praticamente inaspettato ma che, a conti fatti, ci sta tutto. Un podio che accomuna le tre squadre sotto una stessa sigla, quella del 4-3-3. Già, perché il trio che guida l’attuale Serie A scende in campo con lo stesso schema, sia pure interpretato diversamente. Andiamo con ordine.

L’Inter, come già detto, è prima in classifica. Nell’attuale prodotto dei risultati interisti l’incisività dell’allenatore è altissima. Ad inizio campionato lo dicemmo con decisione: Mancini ha ottenuto tutto, ma proprio tutto quel che voleva. Non più scuse da accampare, era l’ora di portare a casa qualcosa di concreto. D’obbligo lottare per lo scudetto, d’obbligo conquistare almeno la qualificazione in Champions League. Ad oggi l’Inter ha messo assieme 15 punti in 5 partite: en plein, con tanti saluti ai detrattori del caso. Hai voglia a dire che gioca un brutto calcio, come sostenuto da un Felipe Melo versione saggio “a chi non piace questo gioco, segua il Barcellona oppure il tennis“. Variabili diverse, messaggio identico: nello sport conta il risultato più di ogni altra cosa. E quest’Inter i risultati li porta a casa. E’ solido il 4-3-3 impostato dal tecnico jesino, un po’ atipico, non certo votato al gioco d’attacco. In cabina di regia ci sta il già citato Melo, che i piedi non li ha proprio educatissimi ma che ha carattere, capacità elevatissima di interdizione e coraggio di osare in impostazione. Spingono poco i terzini, quando lo fanno sono assai diligenti. E c’è anche da sottolineare il lavoro sporco degli esterni d’attacco, capaci di sacrificarsi e mettersi a disposizione anche del centrocampo. Efficacia è la parola d’ordine e se il 4-3-3 solitamente offre spunti in fase offensiva, la forza di questa Inter risiede nella difesa: un solo goal subito, appena sei segnati. Nessuno, in Serie A, ha una difesa migliore, in molti hanno un attacco più prolifico. Primo, non prenderle: giusto così.

Su tutti la Fiorentina (sette goal segnati) di Paulo Sousa, l’uomo venuto da Viseu, in Portogallo, a conferire ai viola maggior efficacia. Siamo lontani dai picchi di calcio spettacolo toccati dalla miglior Fiorentina di Montella ma, se possibile, siamo ad un grado avanzato. I viola sembrano cresciuti dal punto di vista tattico, sono più accorti senza che il gioco ne risenta e con maggior attenzione alla manovra difensiva. Grande spinta dei terzini, come dimostra l’improvvisa esplosione di un Marcos Alonso mai così incisivo, e continua rotazione degli uomini, con pochissimi punti fermi, su tutti l’insostituibile Gonzalo Rodriguez. Cambia spesso l’attacco: sugli esterni sin qui sono stati utilizzati Blaszczikowsky, Bernardeschi, Ilicic e Rebic. Per il ruolo di prima punta si alternano il potentissimo Babacar e il rapace d’area di rigore Kalinic. Ma importa poco chi ci sia in campo, la Fiorentina sembra un’unità camaleontica, compiuta e compatta: chiunque venga utilizzato, riesce a far bene. Quando questo succede, il merito va dato all’allenatore, quel Paulo Sousa che da giocatore, negli anni ’90, guidò da regista i centrocampi di Juventus e Borussia Dortmund, conducendole alla vittoria della Champions League. Testa pensante, uomo vincente: a Firenze auspicano che il portoghese continui a seguire questa strada.

E poi? Poi abbiamo il Sassuolo, guidato in panchina dall’ex ripudiato Di Francesco. Difficile dimenticare che, nel gennaio del 2014, Squinzi gli diede il benservito per affidare la panchina a Malesani. Un atto inspiegabile, al punto che il tecnico fu poi richiamato dopo cinque giornate, in cui i neroverdi non avevano conquistato neppure un punto. E’ un ottimo allenatore Di Francesco, con grosse potenzialità di diventare grande. Il Sassuolo è forse la squadra che da l’interpretazione più classica al 4-3-3, di spiccata propensione offensiva. Ha un’identità molto precisa: difesa attenta, terzini che spingono, centrocampo muscolare e con un pizzico di qualità, attacco devastante e capace di far male in ogni occasione e con ogni interprete. Già perché, come nel caso della Fiorentina e mai come in questa stagione, a Sasssuolo il marchio degli attaccanti è unico e solo. Gli anni passati si diceva che le fortune della squadra emiliana fossero dovute esclusivamente ai prodigi di Zaza e Berardi. Eppure il primo è finito alla Juventus, mentre il secondo ha giocato poco e nulla, per via di un infortunio rimediato nel match d’esordio contro il Napoli. E così, a turno, i vari Sansone, Floro Flores, Falcinelli, Politano, Defrel e Floccari, hanno fatto il loro più che dignitosamente. Questione di bravura, quella che ha nel proprio dna Di Francesco. Sognare l’Europa è possibile, a patto che, a salvezza raggiunta, non ci sia il consueto calo di tensione: sarebbe il certificato definitivo di maturazione raggiunta.

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