Una cosa è certa: Gravina ha paura. Gravina ha paura almeno su tre fronti: il primo di carattere generale, gli altri di tipo personale. Gravina ha paura per le sorti del football italiano che, dopo decenni di immobilismo sul piano delle riforme, dei settori giovanili, della formazione, è sull’orlo del baratro.
Ma Gravina ha paura per due motivi che impattano sulla propria sfera di potere. Il primo, banale, riguarda il probabile capolinea del suo percorso al vertice della FIGC e il suo “valuterò la mia ricandidatura all’esito delle modifiche statutarie“, unitamente al rinvio almeno a gennaio (ma qualcuno dice in Primavera 2025) delle elezioni, evidenzia la volontà di aspettare che si calmino le acque (e magari la Nazionale porti qualche buon risultato) per provare a tessere nuovamente la tela.
Ma il vero dato impattante sul futuro del calcio italiano è da ricercare nel nodo della questione che ha fatto fissare per il prossimo 4 novembre l’assemblea statutaria.
La battaglia sui “pesi” elettorali è appena cominciata, le big, ma tutta la lega serie A, sono sul piede di guerra e, in base al principio del “chi porta i soldi comanda” intendono acquisire il controllo almeno del 50% dei pesi elettorali, ma chi si aspetta che Gravina comprenda e abdichi a una parte sostanziosa del potere pressoschè assoluto che detiene si sbaglia.
“Noi dobbiamo cominciare a essere convinti che il calcio italiano non ha bisogno di numeri ma di disponibilità a risolvere problemi collegati alla redazione di progettualità innovative”, parole e musica di Gabriele Gravina, una specie di supercazzola che, anche se così non fosse, sarebbe comunque tardiva, visto che sono ormai quasi 6 anni che Gravina fa e disfa come vuole.
Il suo richiedere, oggi, disponibilità ha fatto venire l’orticaria a molti proprietari di club che fin qui hanno trovato un muro di fronte a qualunque richiesta di confronto, collaborazione.
“Il calcio – prosegue Gravina – ha, pur nell’autonomia dell’ordinamento sportivo, il dovere di trovare un equilibrio tra le sue energie, facendo leva sullo spirito di solidarietà e sulla capacità di conseguire un compromesso virtuoso e se questa sintesi venisse a mancare, la stessa autonomia rischierebbe di soggiacere a poteri autoritativi e surrogatori che non hanno una legittimazione interna al sistema. Da qui – chiosa il Presidente FIGC – alla conclusione di questo percorso il mio impegno di federatore sarà diretto a scongiurare questa eventualità, e a promuovere la consapevolezza che niente difende meglio la democrazia e la sovranità del calcio quanto il senso del limite”.
Insomma, l’assemblea di ieri ha solo ufficialmente dato il via alla battaglia e fino al 4 novembre non aspettatevi esclusione di colpi. I potenti del calcio italiano sono da settimane in silenzio, ormai, e chi ne sa giura che il ribaltone (in termini di peso statutario sulle scelte e poi di presidenza federale) sia alle porte…