Calcio italiano e pazienza: perché serve aspettare i giovani talenti

Con Gattuso in panchina, l’Italia prova a ripartire da una nuova generazione di giocatori e dalla consapevolezza che il vero successo è saper investire tempo ed energie nella crescita, senza cedere all’impazienza del risultato

L’Italia calcistica, più che altrove, vive il suo rapporto con la Nazionale come un rito collettivo, pieno di aspettative e emozioni amplificate. Ai cambi di CT, l’opinione pubblica attende sempre rivoluzioni: nuovi nomi, scelte coraggiose, rimedi immediati dopo ogni delusione internazionale.
Nel giugno 2025, la scelta di Gennaro Gattuso come commissario tecnico ha segnato una svolta, non tanto per la figura carismatica – l’ex mediano e campione mondiale è sinonimo di grinta, resilienza e “fatica nobile” – quanto per il programma che si propone: ricostruire il gruppo azzurro partendo dai giovani, dalla freschezza e dalla fame sportiva.
Non è certo la prima volta che si parla di “nuova Italia” dopo un ciclo concluso. Ma oggi l’avvicendamento è più radicale e riguarda sia i protagonisti in campo che la cultura generale, con club e federazione decisi a investire sul talento, anche a costo di sacrificare l’immediatezza dei risultati.

La pazienza: tra retorica e realtà nel calcio italiano

La “pazienza” nel calcio italiano è una virtù spesso invocata ma raramente praticata. Ogni convocazione diventa giudizio, ogni errore spunto per polemica. Eppure, la storia recente suggerisce che la maturazione di un giovane è un percorso fragile e mai lineare.
Prendiamo il caso di Riccardo Calafiori: scartato troppo presto da alcuni tecnici, solo una lunga esperienza tra Serie B e i “campi duri” della provincia lo ha reso oggi uno dei difensori più osservati, sia da Gattuso che dai club top.

Calcio italiano e pazienza: perché serve aspettare i giovani talenti
Foto di Ettore Griffoni / ANSA

Tommaso Baldanzi è un altro esempio emblematico: cresciuto nel settore giovanile dell’Empoli, ha saputo resistere a pressioni e hype, trovando spazio grazie alla fiducia di allenatori come Andreazzoli, che hanno anteposto la crescita al rendimento istantaneo.

Calcio italiano e pazienza: perché serve aspettare i giovani talenti
Foto di Claudio Giovannini / ANSA

La stessa Nazionale guidata da Gattuso, con ragazzi come Mateo Retegui – attaccante di doppia nazionalità, esploso grazie a tenacia ed equilibrio mentale – e Giovanni Fabbian (centrocampista con giocate da box-to-box), evidenzia come la maturità si raggiunga a piccoli passi, spesso tra panchine, prestiti e curve di apprendimento lente.
Il problema, però, è che la pressione mediatica e la “fame di risultati” rischiano di diventare un ostacolo culturale: si esalta il nuovo solo se conquista subito la ribalta, si dimentica rapidamente chi ha bisogno di tempo. Il mercato, i social, le trasmissioni tv alimentano questa impazienza, anche a costo di bruciare il lavoro fatto.

Quando la cultura dell’attesa fa la differenza: un confronto tra quello italiano e gli altri modelli

Guardando fuori dai confini, è evidente che i modelli più “virtuosi” lavorano diversamente. Francia e Spagna, ad esempio, hanno costruito veri e propri programmi federali per la tutela e l’inserimento graduale dei giovani: accettano qualche stagione anonima, proteggono i loro talenti con ambienti meno giudicanti e con una filiera che dalla base alla Nazionale maggiore lavora in coerenza tecnica e mentale.

In Italia il cambiamento passa ancora da singole intuizioni: Atalanta ed Empoli sono laboratori di virtuosismo, ma il sistema tende a valorizzare l’urgenza del risultato. Di qui il rischio di vedere cicli interrotti dopo poche partite negative, con conseguente frustrazione di talenti che invece in altri paesi maturano grazie alla continuità e alla protezione federale.

L’arrivo di Gattuso potrebbe star indirizzando questa cultura verso una nuova fase. Il CT, abituato a valorizzare il gruppo e la disciplina, ha già dato segnali chiari: preferenza ai giovani che hanno dimostrato mentalità, non solo talento tecnico; puntare su un’identità di squadra “umana”, capace di crescere e sbagliare insieme.

Errori del passato, opportunità presenti: il caso Kean e Tonali

Negli ultimi anni, diversi talenti italiani hanno vissuto il rischio di una precoce esposizione.
Moise Kean – classe 2000, esordio in Serie A a 16 anni e nella nazionale maggiore a 18 anni e 9 mesi – è stato subito dipinto come “fenomeno” destinato a cambiare il destino azzurro. Il suo primo gol arriva a 19 anni e 23 giorni, ma la pressione mediatica e sociale che lo hanno travolto, lo hanno portato ad alternare grandi prestazioni a periodi difficili, sia caratteriali che di rendimento. La parabola di Kean, che oggi è ancora nel giro azzurro, spiega bene quanto sia fondamentale proteggere i ragazzi e accompagnarli, non solo “lanciarli” .​

Calcio italiano e pazienza: perché serve aspettare i giovani talenti
Foto di Michele Maraviglia / ANSA

Lo stesso discorso vale per Sandro Tonali: etichettato a 20 anni come “nuovo Pirlo”, ha vissuto prima l’esaltazione, poi la difficoltà generata da una pressione eccessiva, tra responsabilità tecniche e squalifiche. Solo un percorso più maturo e la scelta di lavorare con continuità lo hanno riportato ad essere oggi uno dei punti fermi della squadra di Gattuso.

Calcio italiano e pazienza: perché serve aspettare i giovani talenti
Foto di Ettore Griffoni / ANSA

Questi casi – insieme a quelli di Calafiori, Baldanzi, Retegui e Fabbian – testimoniano che il talento non è solo dono istantaneo, ma risultato di pazienza e supporto strutturato. La vera opportunità, oggi, è non ripetere gli errori che hanno ostacolato la crescita delle generazioni precedenti.

La domanda che resta: l’Italia calcistica è pronta davvero?

Forse la vera sfida non è solo costruire una Nazionale competitiva, bensì costruire la cultura della pazienza nel calcio italiano.
Gattuso, con la sua storia di fatica, inclusione e “sudore come talento”, può essere il simbolo nuovo di questo percorso, se avrà tempo e fiducia.
Ai tifosi, ai media, alle società il compito di sostenere una visione più adulta, meno isterica, più attenta alla formazione che al risultato immediato.
Il futuro azzurro passa da qui: dalla capacità di credere – e di aspettare.

Al momento, l’Italia di Gattuso è seconda nel gruppo di qualificazione ai Mondiali 2026 dopo una partenza difficile (sconfitta con la Norvegia), a cui sono seguite cinque vittorie convincenti (due ciascuna con Estonia e Israele, una con Moldavia).
La prossima gara sarà contro la Moldavia (13 novembre, ore 20.45), mentre la sfida decisiva sarà probabilmente quella contro la Norvegia (16 novembre, ore 20.45, San Siro): l’obiettivo è il primo posto, ma l’Italia ha già in tasca almeno i playoff.

In quest’ottica, la pazienza è il vero “investimento tecnico” che la nuova Italia può fare. Applaudire i giovani non solo al debutto, ma soprattutto quando non brillano subito, potrebbe essere la svolta di mentalità che riporterà l’Italia tra i grandi — e darà vita a campioni maturi e consapevoli.

Gattuso l’ha detto chiaramente in conferenza stampa a Coverciano, appena assunto:

Il talento c’è, i giovani hanno bisogno di tempo e anche di poter sbagliare.

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