Nato e morto poverissimo, in mezzo una “pazza” carriera da calciatore. René Orlando Houseman era capace di regalare spettacolo con i suoi dribbling imprevedibili, ma anche di giocare da ubriaco. Da bambino veniva chiamato ‘cerdo’, maiale, perché in casa sua non c’era acqua e il piccolo René se ne andava in giro con una saponetta quando il cielo minacciava pioggia. Dopo essere stato scartato dagli Exursionistas, entra nelle giovanili del Defensores de Belgrano. Luis Cesar Menotti lo volle con sé all’Huracan. L’aspetto non era granché: capelli lunghi, barba incolta, tant’è che i dirigenti che lo videro arrivare al campo si misero a ridere e dissero: “Profe, este tiene la cara de borracho, por favor…” (Mister, questo ha la faccia da ubriacone, per favore…”. Ridevano meno quando René Orlando Houseman iniziò a toccare il pallone. Uno così non l’avevano mai visto.
Amante delle ‘Gitanes’, catrame che andava forte tra i fumatori incalliti di quegli anni, ma a pallone sapeva giocare e questo era più che sufficiente. Renè Houseman, per tutti, “El Loco”, nonostante fosse un calciatore professionista, andava a giocare per ore in tornei di tra amici. E Menotti andava a raccattarlo quando non si presentava agli allenamenti. E fu così anche prima del match contro il River Plate, decisivo per il titolo del 1973. Houseman era uno straccio, ubriaco fradicio, non si reggeva in piedi. In qualche modo riuscirono a rinfrancarlo (si dice a suon di ‘Gitanes’ e caffè). Le sue finte diventarono ancora più imprevedibili e successe che, ad un certo punto, superò di corsa i centrali del River, scartò il portiere della nazionale Fillol e mise in rete. Dopo il gol si buttò a terra, ridendo, sfinito e con i postumi della sbornia. Anni dopo raccontò: “Solo una volta giocai mentre ero davvero ubriaco. Venivo dalla festa di compleanno di mio figlio e arrivai al campo che quasi non stavo in piedi. Non so quante docce gelate mi costrinsero a fare per cercare di rimettermi in sesto. Alla fine lasciarono a me la decisioni e io risposi che avrei potuto giocare anche su una gamba sola! Li convinsi, scesi in campo dall’inizio, feci un gol, chiesi il cambio e andai e negli spogliatoi a dormire“. I tifosi, mentre lui dormiva negli spogliatoi, iniziarono a cantare: “Y chupe, chupe, chupe… no deje de chupar… el Loco es lo más grande del fútbol nacional!”(“Che beva, beva, beva, non smetta mai di bere, il Loco è il più grande del calcio nazionale”).
Si era rifiutato di vivere nel lusso, era rimasto nei quartieri poveri. Arrivò la maglia dell’Albiceleste. Ai Mondiali del ’74, uno dei pochi a salvarsi è proprio Houseman, che contro l’Italia saltò facilmente un monumento come Giacinto Facchetti e segnò 3 gol in 6 partite. Nel 1978 diventa campione del mondo. L’Huracan rimane ad alti livelli per diverse stagioni, poi arriva l’offerta del River Plate. Una manciata di partite, niente più. Poi torna lì, all’Huracan, nella povertà. Il lusso non fa per lui. Le sue prestazioni calano, va in Cile e finisce in Sudafrica. Non è più un calciatore.
Finisce a dormire sotto i ponti, a chiedere l’elemosina ai semafori. A 50 anni sembra uno di 70. Per fortuna nel 2006 il vecchio amico e compagno di squadra Carlos Babington diventa presidente dell’Huracan, si ricorda del vecchio Renè e gli riapre le porte del Club, inserendolo nello staff tecnico e togliendolo letteralmente dalla strada. A 64 anni, nel 2018, se n’è andato per un cancro. Lui che è stato ‘el Loco’, es lo más grande del fútbol nacional!