Paolo Rónald Montero Iglesias è stato un calciatore sopra le righe. Debutta a diciannove anni in patria con il Peñarol. Rimane con i gialloneri fino al 1991, quando Lippi lo porta all’Atalanta. Dopo 4 stagioni (di cui una in Serie B) lo stesso allenatore viareggino lo vuole con sé alla Juve. Diventa un monumento dei bianconeri, con i quali disputa 277 partite. Chiude la carriera tra San Lorenzo e Peñarol. Vanta anche 61 presenze e 5 gol in nazionale. Ha vinto quattro scudetti, tre Supercoppe italiane, una Supercoppa europea e una Coppa Intercontinentale; con i bianconeri ha inoltre giocato tre finali di Champions League.
Difensore dal carattere deciso, non lesinava le maniere forti per fermare gli avversari. E’ primatista di espulsioni in Serie A, avendo ottenuto 16 rossi. Ha poi intrapreso la carriera da allenatore. Prima in patria con il Peñarol, poi in Argentina con Boca Unidos, Colon e Rosario Central. Nel 2019 è diventato allenatore della Sambenedettese.
Montero ricorda così il famoso 5 maggio 2002: “Quel pomeriggio fu fantastico. Da impazzire. Una gioia immensa. Non ci credevamo quasi più. Ma l’Inter di cosa si lamenta poi? Se era davvero la più forte andava a Roma e rifilava quattro pigne alla Lazio. Altro che scuse. Ed allora noi di Perugia cosa avremmo dovuto dire? 64 minuti dentro lo spogliatoio ad aspettare di rientrare in campo. 64! Li ho cronometrati. Una roba pazzesca. Però io ho il mio codice d’onore personale e per me conta solo e sempre il verdetto del campo. Per questo ho sempre rispettato le decisioni arbitrali. Durante la partita tutto è lecito pur di vincere”.
Sempre Montero racconta: “Zidane non mi ha mai rimproverato per le espulsioni, si metteva sempre a ridere. Il più delle volte mi diceva: ‘Non sei mica normale’. Ma in Sud America è così, i difensori devono proteggere i propri attaccanti. Se Zidane, Del Piero o Inzaghi prendevano botte, io cercavo di fare giustizia con qualche entrata delle mie. Pentito di qualche gesto? Non ridarei più quel calcione a Totti”.
“Al termine degli incontri con qualche squadra, andavamo sempre nello spogliatoio avversario per cercare la rissa. Una volta ho litigato con Toldo e poi lui, che è molto più grosso di me, mi ha tirato un pugno. Per fortuna non mi ha colpito perché mi sono abbassato, quindi io gliene ho tirato un altro, però non l’ho preso neanche. Alla fine sono venuti Davids, Tudor, Iuliano, tutti, ma non c’è stato nessun problema, succedeva sempre con tante squadre, cose così. Con la Salernitana quando giocava Gattuso. Con il Milan invece c’era il massimo rispetto, non abbiamo mai discusso”.
Sempre chiaro, in campo: “O passa la palla o passa la gamba. Entrambe no”. E fuori: “Dei tifosi juventini mi volevano picchiare dopo aver scoperto che uscivo con due tifosi del Torino. Mi sono venuti a prendere al Comunale, ma abbiamo parlato e ci siamo chiariti in fretta. Gli ho spiegato che le amicizie me le scelgo da solo”
Rapporto speciale con Mark Iuliano: “Ogni volta che si vinceva, partiva subito la macchina per Milano. Di feste ne ho vissute parecchie, però oggi sono sposato e non si possono raccontare. Quante serate con il mio amico Mark. Era un vero conquistatore, ed io gli facevo da spalla. Quando andavamo a ballare ed incontravamo tifosi della Fiorentina o del Torino era facile che succedesse qualcosa. Una volta a Viareggio è finita a cazzotti e ci hanno sbattuto fuori dalla discoteca, ma per fortuna ho convinto Mark a lasciar perdere perché erano una decina e ci avrebbero ammazzato di botte”.
Anche Carlo Ancelotti ha voluto citare Paolo Montero nel suo libro ‘Preferisco la Coppa’: “Una mattina alle quattro, all’aeroporto di Caselle. Tornavamo da Atene, avevamo appena fatto una figuraccia in Champions League contro il Panathinaikos ed abbiamo trovato ad aspettarci un gruppetto di ragazzi che non ci volevano esattamente rendere omaggio. Al passaggio di Zidane l’hanno spintonato ed è stata la loro condanna. Non a morte, ma quasi. Montero ha visto la scena da lontano, si è tolto gli occhiali con un’eleganza che pensavo non gli appartenesse e li ha messi in una custodia. Bel gesto, ma pessimo segnale, perché nel giro di pochi secondi si è messo a correre verso quei disgraziati e li ha riempiti di botte. Aiutato da Daniel Fonseca, un altro che non si faceva certo pregare. Paolo adorava Zizou, io adoravo anche Paolo, puro di cuore e di spirito. Un galeotto mancato, ma con un suo codice d’onore”.