Intervista esclusiva di Walter Veltroni sulla “Gazzetta dello Sport” ad Antonio Conte sul suo futuro. L’ex ct azzurro apre all’Italia, ma con un progetto importante. Nel dettaglio, Conte si svela a 360° gradi, ricordando gli inizi: “È mio padre che ne ha merito. Lui è stato il presidente di una squadra storica della mia città: la Juventina Lecce. Era un po’ tutto. Era presidente, allenatore, magazziniere. Portava le maglie, le lavava a casa, preparava il té per i ragazzi. Il mio primo ricordo di calcio è associato a papà e alla Juventina Lecce. La maglia della Juventina Lecce era bianconera”. Famiglia povera quella di Conte: “Papà noleggiava automobili e portava con il pulmino i bimbi a scuola. Mamma era sarta. Ricordo bellissimi abiti da sposa fatti a mano. Era bravissima. Ogni tanto però mi prendevo qualche ceffone perché, con il pallone, ero capace anche di sporcare il bianco candido dell’abito da sposa“. Ricorda anche i consigli del padre: “Ho fatto la trafila nella Juventina e poi a mio papà i responsabili del Lecce chiesero se potessi fare un provino. Papà non era favorevole, per lui la priorità della vita era lo studio. Antonio, voglio esser chiaro: la prima volta che a tua madre, ai colloqui con gli insegnanti, dicono qualcosa di negativo sul tuo profitto, tu hai chiuso con il pallone”. Da lì in poi ho sempre abbinato campi di calcio e libri di studio, anche per dare soddisfazione della mia famiglia. Ho faticato, mai rimandato e mai bocciato, ma alla fine mi sono laureato in Scienze motorie con 110 e lode a Foggia“.
Conte torna indietro a quando faceva la collezione Panini: “Non chiedevo i soldi a mamma e papà per comprarle. Non mi hanno mai fatto mancare nulla, ma non navigavamo nell’oro. In quel periodo, se eri bravo, le figurine te le facevi. Magari compravi le prime, ma poi giocavi con gli altri e, se eri sveglio, potevi vincerne. Mi viene nostalgia nel pensare a quegli album che non riuscivo mai a finire…“. Poi arriva la Juve: “A novembre ebbi due proposte, dalla Roma e dalla Juventus. Ma poi mi chiamò Boniperti per dirmi: “Devi venire alla Juve, passami la mamma. L’impatto fu traumatico. C’era la nebbia ed io arrivavo dal sole“. Arriva l’esperienza da allenatore della Juve e Conte svela: “Fu la prima volta che mi proposi. Avevo fatto bene al Bari e parlai con Andrea Agnelli. L’occasione arrivò. Mandammo via molti giocatori, anche di spessore. Tra gli altri arrivò Pirlo, che mi colpì per la sua serietà durante gli allenamenti. Sempre concentrato e non diceva una parola. Ho subito voluto dire che solo attraverso l’impegno e il sacrificio si sarebbe potuto tornare in Champions“. Sul suo modo di giocare, Conte aggiunge: “Un allenatore deve essere duttile, mai ideologico. Il calcio è un mix tra scienza e tecnica“. Sull’eliminazione della Juve dalla Champions di quest’anno, Conte dice: “Il campionato lo vince la squadra più continua. La Champions dipende da tanti fattori: da come arrivi, un’infortunio, gli episodi. Detto questo la sorpresa (vedi l’Ajax) può esserci sempre. Occhio anche al calcio inglese, in crescita“.
Sul motivo per cui lasciò la Juve, Conte precisa: “Erano stati tre anni intensi, logoranti. Avevo promesso che avrei portato la Juve sul tetto del mondo e non ci sono riuscito. Tornare? Non si sa mai“. Cosa deve proporre una società per convincere Conte: “L’esperienza all’estero mi ha reso più forte, la consiglio a tutti. Mi serve un progetto su cui possa incidere, con le mie idee ed il mio metodo. Devo sentire che vincere è possibile, altrimenti posso rimanere fermo senza nessun problema“. Sulla Roma, Conte aggiunge: “Mi sono innamorato di Roma nei due anni in cui lo frequentata da ct. Si vive con passione, con un’intensità particolare. Oggi le condizioni non ci sono, ma penso che un giorno, prima o poi, andrò ad allenare la Roma“.