Fernando Carlos Redondo Neri: talento sopraffino ma fisico di cristallo. Suo padre riesce a convincerlo a provare il calcio a undici anni e lo manda a fare un provino per l’Argentinos Juniors, che lo ingaggia immediatamente. Gioca con i biancorossi fino al 1990, deliziando i tifosi. E’ già pronto per guidare l’Argentina campione in carica, ai Mondiali di Italia ’90, ma si autoesclude dai 22 convocati di Carlos Bilardo per poter proseguire i suoi studi universitari in Economia e Commercio. Una scelta che crea due fazioni in patria. Nello stesso anno firma con il Tenerife, piccola squadra delle Canarie che era riuscita a salvarsi ai play-out contro il Deportivo La Coruña. Due stagioni così così, poi sale in cattedra. E a notarlo è il Real Madrid, che nel 1994 lo porta nella capitale spagnola. Fa faville con la maglia dei Blancos, tra leggendari “taconazi” e trofei sollevati al cielo, praticamente ogni anno. Ma nonostante i successi con il Real rimane fuori dal giro della Nazionale argentina e salta anche il Mondiale del ’98. Il perché è presto detto. Daniel Passarella, tecnico dell’Albiceleste, era stato categorico e non voleva vedere nella sua squadra chiome “stravaganti”: “Tagliati quei capelli e potrai giocare con l’Argentina”. Niente da fare, Fernando non ne volle sapere.
Nel 2000 arriva il Milan a portarlo via da Madrid. Stagioni da incubo in rossonero: “Al Milan si lavorava tanto sulla forza. Per orgoglio non dissi nulla, ma a livello muscolare ero morto. E in una delle prime partite mi sono rotto il crociato del ginocchio destro. Sono rimasto fuori per due anni perché la prima operazione andò male. Il legamento non fu collocato nella posizione giusta e quindi peggioravo giorno dopo giorno”, ha ricordato Redondo in un’intervista. L’argentino è passato alla storia per aver chiesto al Milan, dopo il suo infortunio, di sospendergli lo stipendio fino la suo effettivo ritorno in campo.
Un calvario durato due anni che Redondo ha anche raccontato: “Mi portavano dal chirurgo, mi mettevano la gamba di dietro, mi toglievano il sangue con un laccio e mi somministravano farmaci. Il rischio è che finissero al cuore, poteva essere un problema. Per 60 giorni sono stato ad Anversa lavorando con tecniche nuove per me, tre volte al giorno per tutta la settimana. La domenica tornavo a Milano per stare con la mia famiglia e poi prendevo nuovamente un volo per il Belgio. Usai una tecnica chiamata Bier Block, che era proibita in Italia e che agiva sul sistema nervoso centrale per rompere la memoria del dolore. Ma visto che poteva causare problemi al cuore potevo farlo sei volte al massimo e io l’ho fatto cinque volte”.